Il ricordo di Fabrizio Frizzi nella lunga lettera pubblicata da Nando Dalla Chiesa comincia con uno scatto in bianco e nero. In quell’immagine ormai datata, c’è Nando Dalla Chiesa insieme alla sorella Rita, mentre sulla destra si intravede Fabrizio Frizzi. In quell’occasione l’ex conduttore, che aveva da poco conosciuto quella che di lì a breve sarebbe diventata sua moglie, partecipò alla prima manifestazione nazionale degli studenti contro la mafia e contro la droga. Da quel momento sposò in pieno le cause della futura moglie e due anni dopo partecipò al maxiprocesso di Palermo. Nando ricorda così squarci della vita di Frizzi che in pochi conoscono.
“Vi chiederete che cosa c’entri con il titolo la foto che ho messo in fondo al post. Ve lo spiego subito. Quella foto è (se non mi sbaglio) del 1984. Ci fu allora a Roma la prima manifestazione nazionale degli studenti contro la mafia e contro la droga. Non era mai successo prima, che i giovani arrivassero da tutta Italia. La foto (di Stefano Montesi) riprende me e mia sorella Rita alla fine della manifestazione, con il palco ormai smobilitato. Sulla destra si vedono l’avvocato Alfredo Galasso e il giornalista dei “Siciliani” Antonio Roccuzzo. In mezzo, tra me e Rita, c’è Fabrizio Frizzi. Proprio così. Aveva “sposato” la causa di Rita,da poco conosciuta, ed era venuto anche lui, così come venne due anni dopo al maxiprocesso di Palermo. Per amore e per senso di giustizia. Non voglio arruolare Fabrizio nell’antimafia. Voglio invece dire che aveva un istinto innocente, naturale, per le cause giuste. Le fiutava, le faceva sue senza tornaconti. Grandi e piccole, conosciute o destinate a restare ignote.
Io ne ho ricordi bellissimi legati alle tante estati passate insieme ora per ora, fino a notte fonda. Era una meraviglia sentirlo raccontare le barzellette. Per lui mica erano battute, macché, erano un’arte sociale, teatro puro. Nel villaggio (non turistico, ma di condomini) di Sellia Marina, sullo Ionio, teneva sveglie decine di famiglie, dai bambini ai nonni, tutti seduti intorno a lui, narrando, letteralmente narrando barzellette. Sapeva di regalare uno spettacolo ogni sera e lo faceva volentieri. Spettacolosa quella sul cavallo morto in via Pordenone. Irresistibile la batteria delle barzellette sui paracadutisti dilettanti. Una volta si fecero le tre, e chiese lui di potere smettere, il pubblico avrebbe fatto l’alba per godersi quella contagiosissima allegria.
Fabrizio era un uomo Rai, del servizio pubblico, orgoglioso di esserlo (anche se ne ebbe ingiuste e lunghe umiliazioni). Una di quelle estati, credo fosse l’86, lo vidi alzarsi in piedi per una telefonata ricevuta a casa di mia sorella Simona da Silvio Berlusconi. B. voleva convincerlo a passare alle sue tivù. Fabrizio era in imbarazzo ma resisteva. Si chinava sulla difensiva con la cornetta. L’interlocutore insistette per circa 40 minuti. Non ho mai saputo che cosa il grande persuasore gli stesse offrendo, ma certo molto. Lui spiegava di rimando che era affezionato alla Rai, che ringraziava molto ma non poteva. Finì estenuato, sudato, ma soddisfatto di se stesso.
Abbiamo fatto insieme interminabili partite a calcio nel campetto in terra battuta di Sellia, ormai trasformato in vile parcheggio. Lui, io e Carlo, il marito di Simona, dovevamo per forza stare nella stessa squadra. E questo alla fine ci condannava a essere un po’ più deboli di altre squadre. Si rimediava con la tattica. Con Fabrizio ogni sera era dedicata a due ore di studio della tattica per il giorno dopo. Era quasi più divertente che giocare. Prima della partita che avrebbe deciso il torneo, fatta la tattica, gli dissi “Domani vinciamo”. Lui se ne convinse, anche se l’avversario era molto più forte di noi. Così il giorno dopo all’una, sulla battigia, lo comunicò anche a Mario, nostro compagno, un delizioso fiorista di Benevento. Mario lo guardò incredulo. Vinciamo? Fabrizio disse sì e Mario si convinse. Potenza della televisione. Vincemmo davvero. Grazie a lui. Gli lanciai la palla dal fallo laterale, lui non so come la prese con la fronte ma con le spalle alla porta, con una scoordinazione assoluta, misteriosa. La palla passò incredibilmente dietro di lui e finì nell’angolino alto. Un gol indimenticabile. Quando ho saputo del suo male gliel’ho ricordato. Tornerai a fare quei gol, gli ho scritto, sperando di tirarlo su di morale. Ma credo di esserci riuscito solo in parte. Mi rispose: “E’ vero, la tattica è rimasta la stessa… Continuo a cercare di sfondare e vincere…”.
Non ho qui lo spazio per raccontarvi dell’amore per il suo pubblico, degli stormi di ragazzine che gli chiedevano l’autografo mentre mangiava in pizzeria e lui sorridente che lo faceva a tutte. Delle sue imitazioni a bruciapelo di Sordi o Mike Bongiorno, dei suoi improvvisi assolo alla pianola. Della strepitosa bravura a ping pong. Della generosità e della gratuità senza confini. Solo una cosa aggiungo. E’ stato scritto che non era un genio. E’ vero, se il genio è solo quello scientifico, artistico, politico, militare, filosofico. Ma mettiamo che esista (e perché non dovrebbe?) anche il genio della comunicazione umana, di come usare la comunicazione per costruire relazioni, per fare sentire meglio le persone, per rendere un’atmosfera sociale (piccola o grande) più piacevole, per immettere il garbo nella vita altrui. Il genio, rarissimo, fatto di istinto, di studio duro e vocazione naturale, come tutte le forme di genio. Questo, Fabrizio lo ha avuto. E io qui, ricordando quel pazzesco colpo di testa, ve lo testimonio senza alcun dubbio. Proprio il classico genio che non si impara a scuola o all’università. Ma che ti nasce dalla vita e rende speciale la tua vita. Ciao Fabrizio”.