Spira un vento di tempesta in California: il caso Facebook ha spaccato la Silicon Valley. La concordia dell’impero High-Tech di San Josè sembra, ormai, un lontano ricordo. Lo scandalo Cambridge Analytica non ha “soltanto” travolto Zuckerberg e il Social Network più famoso del mondo, ha aperto una crepa – di ora in ora sempre più profonda – sulla gestione della privacy nel mondo dell’industria tecnologica. A schierarsi contro Facebook sono, oggi, alcuni tra i “giganti” della Silicon Valley: Tesla, Ibm e – persino – Apple.
Sono lontani i tempi di San Bernardino. Era il dicembre del 2015, quando Apple aveva risposto picche all’FBI sulla storia dell’Iphone del terrorista del centro disabili. Cupertino si rifiutò, in quell’occasione, di consegnare ai federali i codici del mela-fonino del terrorista e trovò l’icondizionata e assoluta solidarietà di tutto il comparto High Tech. Di questa solidarietà, Zuckerberg non ha visto neppure l’ombra. E sicuramente non ci aveva sperato. La privacy è tutto: sembra essere questo il messaggio che Tesla, Ibm e Apple vogliono lanciare a Facebook. Ѐ stato Elon Musk, numero uno di Tesla, a fare da apripista. A Datagate, il ceo ha risposto chiudendo l’account Facebook di entrambe le sue aziende (Tesla e SpaceX). “Terribile”, è il commento di Tim Cook, amministratore delegato di Apple. Anche il numero uno di Ibm è stato altrettanto duro: “Se vuoi usare certe tecnologie, devi far sapere agli utenti che le usi.” Tra i vertici della Silicon Valley, sarebbe – insomma – generalizzato il parere che servirebbero norme più severe sulla violazione della privacy.
La frattura – in Silicon Valley – è ancora più evidente se si guarda agli altri ‘giganti’ del Web che simulano indifferenza di fronte a Datagate. Tacciono, infatti, Amazon, Google, Microsoft e Twitter. I leader di queste aziende non hanno rilasciato alcuna dichiarazione. In molti si chiedono se il silenzio sia il risultato di una strategia ben ponderata o – più semplicemente – indichi soltanto l’imbarazzo del resto della Valley di fronte allo scandalo. Cambridge Analytica ha, comunque, scosso tutta l’area di San Josè e – a Westminster come a Washington – Zuckerberg potrebbe non essere l’unico re dei Social a presentarsi sul banco dei testimoni. Charles Grassley, presidente del comitato giudiziario del Senato Usa, ha esteso l’invito a testimoniare – già inoltrato al ceo di Facebook – anche ai numeri uno di Google e Twitter che continuano, appunto, a tacere. Ma anche Zuckerberg, dopo lo scandalo, si era trincerato nel silenzio. Potrebbe essere solo questione di ore.
Intanto il Chicago Tribune scrive che la contea di Cook (di cui fa capo la Capitale dell’Illinois) ha fatto causa a Facebook. Si tratta della prima class action americana contro il Social Network da quando è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytica: la settimana scorsa, infatti, le istituzioni britanniche avevano già fatto causa a Facebook. “Facebook non è un social network, è la più grande azienda di data mining esistente”, si legge nel documento depositato.