Anche per gli standard da reality show di questa Casa Bianca, la maniera in cui è stato licenziato il segretario di stato Usa Rex Tillerson è stata stupefacente. Il presidente Donald Trump lo ha licenziato con un tweet, dicendo che sarebbe stato rimpiazzato da Mike Pompeo, direttore della Cia. Trump ha telefonato a Tillerson solo molto dopo, non offrendogli particolari spiegazioni sui perché del licenziamento.
Bisogna dire che Rex Tillerson non è stato un buon segretario di stato. Venendo dal mondo del settore privato (è l’ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Exxon Mobil) ha trattato la diplomazia come fosse un business, non integrandosi mai veramente con i propri dipendenti. Poi è entrato in conflitto con il proprio capo Trump, soprattutto dopo che quest’ultimo è venuto a sapere che Tillerson in privato lo avrebbe definito ”un imbecille”.
Il nuovo segretario di stato Pompeo è apprezzato da Trump soprattutto perché sembra condividerne l’aggressiva visione ”America First” applicata alla politica estera. Il risultato potrebbe essere una politica estera più coordinata, con meno tensioni pubbliche fra il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca. Otto anni fa Mike Pompeo era semplicemente un quarantasettenne candidato al congresso nel collegio elettorale di Wichita in Kansas, con una modesta carriera nel mondo degli affari e una tipica visione politica repubblicana improntata ad uno stato leggero e poche tasse.
Era soprattutto conosciuto in Kansas per il fatto che la propria campagna elettorale aveva ricevuto importanti finanziamenti dai fratelli Koch, ricchissimi imprenditori statunitensi. Non sembrava avere particolari conoscenze nell’ambito della sicurezza nazionale o della politica estera. Malgrado ciò nel gennaio 2017 Donald Trump lo ha selezionato come nuovo direttore della Cia. È ancora troppo presto per dire che tipo di segretario di stato sarà.
Dalle interviste concesse in quest’anno passato a capo della Cia si può comunque evincere qualcosa sulla sua visione degli affari internazionali: è un “falco”, pronto facilmente ad usare la forza militare; come Trump ammira il dittatore cinese Xi Jinping, ma al contrario del presidente vorrebbe una linea americana più dura per contrastare l’attivismo della Russia di Vladimir Putin soprattutto in Ucraina e in Siria; detesta l’Iran degli Ayatollah, che accusa, senza prove, di finanziare lo Stato Islamico e Al Qaeda; è infine apertamente islamofobo: in alcune sue dichiarazioni ha messo in questione la lealtà degli americani di fede musulmana al proprio paese.
In ogni caso, al di là degli eccessi retorici di Pompeo, la politica estera degli Usa è attesa nei prossimi mesi da due prove importanti: la questione nordcoreana e il futuro dell’accordo sul nucleare iraniano negoziato dall’amministrazione Obama. Donald Trump ha preso la decisione di incontrarsi con il leader della Corea del Nord Kim Jong Un, anche per la pressione in tal senso degli alleati sudcoreani. Pensare però che si stia andando verso una veloce e facile denuclearizzazione della penisola coreana è da ingenui.
Il rischio di una catastrofica guerra in Asia orientale esiste ancora: l’incompetenza e l’impulsività di Trump e Pompeo potrebbero far deragliare i negoziati con Kim. Sull’Iran molti analisti temono che l’ossessione anti islamica che accomuna il presidente e il suo neosegretario di stato possa portarli a decidere di abrogare unilateralmente l’accordo con Teheran; ciò potrebbe causare una corsa all’arma nucleare in tutto il Medio Oriente, aggravando la situazione di sicurezza di una regione già devastata da guerre e instabilità.