Afrin è caduta: le truppe di Ankara e gli alleati siriani dell’ELS (Esercito Libero Siriano) hanno conquistato la città. L’enclave curda è, adesso, in una situazione ancora più drammatica che durante l’assedio. Più di 200mila persone si troverebbero, secondo le autorità civili locali, senza rifugio e non avrebbero accesso a cibo ed acqua. L’Osservatorio Libero Siriano descrive uno scenario sconvolgente. Case, negozi e vetture prese di mira, migliaia i civili in fuga, innumerevoli gli atti predatori. Sui palazzi, intanto, vengono issate la bandiera turca e quella dell’ELS. I curdi ammettono la sconfitta inesorabile ma Erdogan è pronto ad una nuova azione militare: intende cacciarli dal resto del Nord della Siria e dal Nord dell’Iraq. Nel mirino dell’esercito turco restano le città-simbolo della rivincita curda contro l’ISIS.
Si conclude con un successo militare, dunque, la prima fase dell’Operazione “Ramoscello d’Ulivo”, lanciata da Erdogan lo scorso 20 gennaio. Osteggiata da Europa e USA, la conquista di Afrin ha trovato un generale sostegno da parte dell’opinione pubblica della Turchia, martellata da una propaganda spregiudicata. Il leader di Ankara sa perfettamente che il successo militare gli varrà un successo politico. A sostenere la campagna contro i curdi, infatti, non sono stati soltanto gli appartenenti al partito di Erdogan, ma anche l’opposizione, dai nazionalisti ai socialdemocratici. “È questa la lotta contro i terroristi che minacciano la Turchia”: sono le parole di semplici cittadini di Instabul, convinti dai media filo-governativi. Inutili i tentativi della diplomazia americana che aveva tentato di convincere Ankara del fondamentale ruolo dei curdi contro l’ISIS. Di questa terribile escalation militare su Afrin, si è detta oggi preoccupata anche Federica Mogherini, alto rappresentate UE per gli Esteri e la Sicurezza, ma il governo turco ha replicato: “Si tratta di operazioni contro il terrorismo”.
Erdogan non si ferma. Oggi, è Manbij ad essere nel mirino dell’esercito turco: l’altra città a maggioranza curda che offrirebbe ad Ankara continuità territoriale nella fascia siriana. Erdogan ha oggi ricordato che, dall’inizio dell’Operazione, è salito a 3.622 il numero di miliziani curdi “neutralizzati”: uccisi, cioè, o meno spesso, fatti prigionieri. Dopo Manbij, sarà il turno di Kobane, città curda per eccellenza. Dopo la Siria, toccherà all’Iraq. Erdogan vuole approfittare della sistematica debolezza geo-politica dell’area per sferrare ai curdi l’attacco finale. L’obiettivo è quello di distruggere, quanto prima, il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan. Erdogan si è, quindi, rivolto direttamente a Baghdad: “Risolvano il problema” e ha minacciato: “O una notte potremmo entrare a Snjar, nel nord dell’Iraq”. Aveva usato un’espressione simile, prima della tragedia di Afrin.
Mentre il sangue continua a scorrere su Damasco, mentre la regione siriana del Ghouta continua a contare le vittime dei bombardamenti di Assad, il Medio Oriente potrebbe diventare lo scenario di una nuova guerra.