Trema ancora una volta la terra in Messico. Una violenta scossa di magnitudo 7.2 è stata registrata nella notte nel sudovest, provocando paura e devastazione.
Il Messico si trova in un punto ad elevato rischio sismico, in cui cinque placche tettoniche si uniscono, rendendolo particolarmente vulnerabile ai terremoti; su tutti, se ne ricordano due: quello del 1985 e quello recentissimo del 2017. Negli ultimi anni, come spiega il professor Giuseppe Giunta, ordinario di “Geologia strutturale”, già docente dell’Università di Palermo, anche l’Italia è costantemente impegnata nella zona del centro America, attraverso un progetto di cooperazione.
“Noi – afferma il professore – come Università di Palermo e altre istituzioni italiane, da una decina d’anni, siamo impegnati a collaborare con Università e associazioni di monitoraggio del Centro America, in un progetto che si chiama ‘Scenari di rischio nel Centro America’. L’obiettivo – continua – è quello di supportare queste terre, attraverso una collaborazione tra Istituzioni dei due Paesi”.
“I terremoti che avvengono nel Centro America sono di elevata magnitudo – fa notare il professore Giunta – che, se si verificassero in Italia spesso produrrebbero dei danni notevoli, mentre in questi Paesi c’è ‘abitudine sociale’ e ‘territoriale’ a questi eventi”.
Il professore Giunta spiega che “si conoscono le zone a maggiore rischio nella parte del Centro America, esempio San Salvador e Città del Guatemala. Sono regioni a maggiore rischio sia dal punto di vista sismico che vulcanico perchè – spiega – sono ubicate in zone in cui la fratturazione della crosta terrestre è così elevata che qualsiasi movimento viene indotto dallo scontro di placche del Pacifico con le zone continentali delle Americhe viene esagerato e si producono terremoti ovunque”.
“Sono faglie di centinaia di km; alcuni spezzoni si muovono più facilmente di altri e riconoscere esattamente quale spezzone o porzione di faglia può provocare un rilascio di energia elevato è un problema che tutti quanti, istituzioni messicane e università, studiano. C’è ancora molto da fare – ammette – per capire quale siano le zone che potranno rilasciare maggiore energia. Quelle sotto osservazione sono quelle che storicamente non hanno dato terremoti importanti, dette a ‘riposo sismico’ ed invece sono quelle indiziate per rilasciare energia elevata sotto forma di terremoti”.
“Noi – prosegue – collaboriamo anche con la protezione civile di questi Paesi, che comunque non è di altissima qualità, perchè deve fronteggiare eventi spesso distruttivi. Sono sempre le zone più povere che subiscono maggiori danni perchè quelle centrali ed industrializzate sono state costruite con criteri antisismici. Tutto intorno, invece, le zone più povere, sono vulnerabili. È impossibile con l’economia attuale – conclude con amarezza – poter organizzarsi per rendere più sicuro il territorio”.