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La Turchia di Erdogan che sfida la Nato e flirta con Mosca

Le indecisioni di Donald Trump e la rinnovata assertività militare della Russia “putiniana” non sono gli unici temi a preoccupare gli strateghi della Nato; c’è anche un altro problema da affrontare: il crescente distacco dalle politiche dell’alleanza di un suo importante membro, la Turchia. Importante per due motivi: in primo luogo perché possiede la seconda forza militare in ambito Nato dopo quella statunitense, in secondo luogo perché si trova situata in una posizione geografica strategica, a cavallo fra est ed ovest.

La Turchia, sotto la guida del vulcanico Recep Tayyip Erdogan, è diventata un paese imprevedibile. Persegue una propria agenda nazionalista che spesso la pone ai ferri corti con la Nato. La più recente fonte di tensione fra l’alleanza atlantica ed i turchi è l’incursione delle forze armate di Ankara nella regione di Afrin, un enclave curda nella Siria settentrionale. Ad Afrin le forze turche stanno bombardando ed attaccando i miliziani curdi dell’YPG, che sono sostenuti dagli statunitensi in funzione anti-Isis; probabilmente Erdogan calcola che l’amministrazione Trump sarà costretta a fare retromarcia, avendo molto meno interesse della Turchia a plasmare il futuro del Medio Oriente.

Altro motivo di contendere fra turchi da un lato ed europei ed americani dall’altro è il crescente autoritarismo del governo di Ankara, soprattutto a seguito del fallito golpe anti Erdogan dell’estate 2016. Dal 2016 ad oggi in Turchia 50.000 persone sono state arrestate e 110.000 pubblici dipendenti hanno perso il posto di lavoro (tra questi 11.000 ufficiali e piloti delle forze armate turche). Secondo il generale americano Curtis Scaparrotti, comandante supremo della Nato, i generali e gli altri ufficiali cacciati da Erdogan sono stati sostituiti da personale molto meno qualificato, cosa che mette a rischio i legami fra Turchia e Nato.

Poi c’è stato il caso dei militari tedeschi stazionati nelle basi turche di Incirlik e Konya, e del secco rifiuto opposto dal governo di Ankara ad una richiesta da parte di un gruppo di parlamentari del Bundestag di Berlino di poterli visitare. Probabilmente si è trattato di una rappresaglia da parte di Erdogan per il rifiuto del governo tedesco a fargli tenere comizi in favore del proprio partito AKP in città della Germania con forti comunità turche.

Infine, molti militari della Nato sono preoccupati dal riavvicinamento fra Turchia e Russia, evidente dal fallito colpo di stato del 2016 ed esemplificato dalla recente decisione di Ankara di acquistare dei sistemi di difesa missilistici russi, gli S-400. Questi ultimi non possono essere integrati con i sistemi Nato e saranno presumibilmente operati da tecnici russi. Quest’ultima scelta ha fatto infuriare gli ambienti militari di Washington, che considerano la Russia un rivale strategico della Nato, soprattutto dopo la crisi ucraina del 2014, e si sentono dunque traditi e presi in giro dai colleghi di Ankara, che paiono fare una sorta di doppio gioco.

Fra il 1949 e il 1991, ai tempi della guerra fredda fra Usa ed Urss, una Turchia spesso guidata anche politicamente da militari laicisti e fedelissimi della Nato era alleato fedele dell’Occidente. Ora il paese, sotto la guida dell’islamista e sempre più autocratico Erdogan, sembra voler perseguire una politica estera e di difesa più indipendente e focalizzata sui vicini mediorientali, anche a costo di mettere a rischio la partnership militare con americani ed europei.

Giuseppe Citrolo

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