L’Olocausto era un tipo di sacrificio della religione greca nel quale ciò che si sacrifica veniva completamente arso. Quando l’oggetto del sacrificio è un essere umano il termine olocausto diventa un pugno nello stomaco. Non è mai abbastanza sottolinearlo e ripeterlo: gli uomini, le donne e i bambini venivano arsi.
I bambini furono ovviamente tra i più esposti alle violenze dell’Olocausto. Si calcola che almeno un milione e mezzo di bambini e ragazzi sia stato ucciso dai nazisti e dai loro fiancheggiatori; di queste giovani vittime, più di un milione erano ebrei, mentre le altre decine di migliaia erano rom.
Non importa se per motivi tecnici venivano prima uccisi in altro modo, con il gas ad esempio o con un colpo di pistola alla nuca (pratica subito abbandonata per l’eccessivo costo e la scarsa resa in termini di praticità). La orrenda verità è che venivano arsi e trasformati in cenere. E questa può sembrare la peggiore fine che un essere umano possa fare. Ma non è così.
Vorrei poter parlare a quelli che si rasano il cranio e si tatuano una lettera runica ormai considerata il simbolo del male senza sapere che in origine simboleggiava solo il moto del sole, per poterli costringere a leggere lentamente e con attenzione, quindi cercando di capire parola per parola la seguente testimonianza di un prigioniero di Birkenau, costretto a pulire le camere a gas:
Vorrei poterli guardare in faccia nel momento dell’ascolto e della agghiacciante consapevolezza di un fatto semplice, che anche loro possono capire. Perché i forni crematori erano per i morti, corpi che non possono più soffrire. Ma le camere a gas erano per gli uomini, le donne e i bambini vivissimi, ancora forti, coscienti, pieni di paura ma anche di speranza, di attaccamento alla vita, di ragionamenti elaborati e complessi in quegli attimi terrorizzanti che sarebbero stati gli ultimi.
Non toccherò una parola della testimonianza resa da Filipp Muller perché ogni parola pesa come una montagna di dolore e disperazione.
“Prima di ogni ‘trattamento col gas’ le SS prendevano delle misure molto rigide. Il crematorio era circondato da un cordone di SS e i loro uomini occupavano in gran numero il cortile con cani e mitragliatrici. Sulla destra c’erano le scale che portavano allo spogliatoio sotterraneo. A Birkenau c’erano quattro crematori, i crematori II e III, IV e V. I crematori II e III erano identici. Nei crematori II e III lo spogliatoio e la camera a gas si trovavano nel sotterraneo. Un grande spogliatoio di circa 280 metri quadrati e una grande camera a gas dove si potevano gassare fino a tremila persone alla volta. I crematori IV e V contenevano tre camere a gas: la loro capacità globale era fra le milleottocento e le due mila persone al massimo
Le persone, mentre si avvicinavano al crematorio, vedevano tutto… quella violenza terribile, il terreno interamente circondato da SS in armi, i cani che abbaiavano, le mitragliatrici. Tutti sospettavano… soprattutto gli ebrei polacchi. Erano certo animati da neri presentimenti… Ma nessuno di loro, nei suoi incubi peggiori, avrebbe potuto immaginare che fra tre o quattro ore sarebbe stato ridotto in cenere.
Quando entravano nello spogliatoio appariva loro un vero e proprio Centro Internazionale di informazione. Ai muri erano fissati dei ganci, ognuno dei quali portava un numero. Sotto, delle panche di legno perché la gente potesse spogliarsi ‘più comodamente’, come quelli dicevano. E sui numerosi pilastri di sostegno di quello spogliatoio sotterraneo erano affissi degli slogan in tutte le lingue: ‘Sii pulito!’, ‘Morte ai pidocchi’, ‘Lavati!’, ‘Verso la sala di disinfezione’. Tutte quelle scritte avevano l’unico scopo di attirare verso la camera a gas le persone già svestite. E sulla sinistra, perpendicolarmente, la camera a gas, munita di una porta massiccia.
Nei crematori II e III, le cosiddette “SS addette alla disinfezione” introducevano i cristalli di gas Zyclon dal soffitto, e nei crematori IV e V da aperture laterali. Con cinque o sei cassette di gas uccidevano duemila persone. Gli “addetti alla disinfezione” arrivavano in un veicolo segnato da una croce rossa e scortavano le colonne per far loro credere che li accompagnavano al bagno. Ma in realtà la croce rossa non era che finzione; essa mascherava le cassette di Zyclon e i martelli per aprirle.
La morte per gas durava da dieci a quindici minuti. Il momento più terribile era l’apertura della camera a gas, quella visione intollerabile: le persone, schiacciate come basalto, blocchi compatti di pietra. Come crollavano fuori delle camere a gas! L’ho visto parecchie volte. Ed era la cosa più penosa di tutte. A questa non ci si abituava mai. Era impossibile.
“Sì. Bisogna immaginare: il gas, quando cominciava ad agire, si propagava dal basso in alto. E nella lotta spaventosa che allora si scatenava – perché era una lotta – nelle camere a gas toglievano la luce, era buio, non ci si vedeva, e i più forti volevano sempre salire, salire più in alto. Certamente sentivano che più si saliva meno mancava l’aria, meglio si poteva respirare. Si scatenava una battaglia. E nello stesso tempo quasi tutti si precipitavano verso la porta. Era un fatto psicologico, la porta era lì… ci si avventavano, come per istinto. Irreprimibile istinto in quella lotta contro la morte. Ed è per questo che i bambini e i più deboli, i vecchi, si trovavano sotto gli altri. E i più forti sopra. In quella lotta di morte il padre non sapeva più che suo figlio era lì, sotto di lui.
E quando si aprivano le porte
Cadevano… cadevano come un blocco di pietra… una valanga di grossi blocchi che cadono da un camion. E dove era stato versato il Zyclon, era vuoto. Nel posto dei cristalli non c’era nessuno. Sì. Tutto uno spazio vuoto. Evidentemente le vittime sentivano che in quel punto il Zyclon agiva di più. Le persone erano… erano ferite, perché nel buio avveniva una mischia, si dibattevano, lottavano. Sporchi, insozzati, sanguinanti dalle orecchie, dal naso. […] Era atroce da vedere. Ed era la cosa più difficile”.
Filip Müller era un prigioniero adibito alla pulizia delle camere a gas ed alla distruzione dei corpi nei forni. Nel 1987, fu intervistato dal regista francese Claude Lanzmann, durante la realizzazione del film documentario Shoah.