Ogni anno ai primi di gennaio la società di consulenza per il rischio politico Eurasia Group pubblica la lista dei dieci maggiori rischi geopolitici per l’anno appena cominciato. Molti investitori in tutto il mondo basano almeno in parte le proprie scelte su questa lista. Eurasia Group non è molto ottimista sull’appena iniziato 2018. Da un lato è vero che le borse macinano record su record e che l’economia mondiale è in ripresa; dall’altro, però, dal punto di vista politico, l’unilateralismo e l’isolazionismo di Donald Trump e l’assenza di altri paesi che possano giocare un ruolo di leadership paragonabile a quello americano creano un mondo con molti vuoti di potere, foriero di conflitti ed instabilità.
Quasi un mondo alla Thomas Hobbes, autore del famoso detto: ”Homo homini lupus”. Il più grande rischio per la stabilità globale nel 2018 sarà il maggiore ruolo internazionale della Cina, paese che, sotto la guida del sempre più autocratico Xi Jinping, vuole approfittare dei vuoti creati dalla ritirata americana. Per sempre più paesi emergenti, la Cina è un contromodello più attraente della liberaldemocrazia occidentale all’americana; ormai l’ambiente economico globale dovrà sempre più conformarsi a regole, standard e pratiche made in Beijing, cosa che creerà problemi alle multinazionali americane, europee e giapponesi, soprattutto in quei paesi emergenti in cui l’influenza economica cinese sta diventando predominante.
In Asia, paesi democratici e vicini agli Stati Uniti come India, Giappone ed Australia vedranno l’agenda espansionistica di Xi come una minaccia, cosa che potrebbe portare a frizioni nel mar cinese meridionale e nelle relazioni commerciali Cina-Usa. Nell’ordine gli altri rischi geopolitici individuati dai politologi di Eurasia per l’anno appena cominciato sono:
- il rischio di incidenti che creino una grave crisi internazionale, cosa che potrebbe avvenire in teatri di guerra quali la Siria e la Corea del Nord oppure a causa di attentati islamisti in Europa o negli Stati Uniti (rischio numero due);
- la grande battaglia della tecnologia, con l’uso politico dei virus e dei cyberattacchi da parte delle grandi potenze e la rivalità fra Stati Uniti e Cina nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e sul mercato dell’information technology in Asia, Africa,Europa ed America Latina (rischio numero tre);
- la situazione politica ed economica del Messico, stretto fra le invettive di Trump contro gli immigrati latinos ed il Nafta, la propria inaggirabile dipendenza dal mercato statunitense e la possibile vittoria del populista di sinistra Lopez Obrador alle presidenziali del primo luglio (rischio numero quattro);
- un nuovo inasprimento delle relazioni fra Iran e Stati Uniti, con il rischio che collassi l’accordo sul nucleare faticosamente negoziato dall’amministrazione Obama, e con drammatiche conseguenze sul campo in Siria, Libano,Iraq e Yemen (rischio numero cinque);
- l’erosione della fiducia delle opinioni pubbliche dei paesi sviluppati nelle proprie istituzioni burocratico-tecnocratiche e nei propri media mainstream, con la diffusione a macchia d’olio di teorie cospirazionistiche (rischio numero sei);
- il ritorno a forme anche subdole di protezionismo negli scambi commerciali internazionali, di cui pagheranno il prezzo imprese e consumatori in tutto il mondo (rischio numero sette);
- la crisi del Regno Unito, causata sia dalle complesse negoziazioni post Brexit e dalla questione dell’Irlanda del Nord che da una scena politica nazionale dominata da Tories demagoghi ed anti-immigrazione e da un partito laburista che ha virato decisamente a sinistra sotto la guida di Jeremy Corbyn (rischio numero otto);
- lo sfruttamento della religione a scopi politici nell’Asia meridionale, regione sempre più importante per l’economia mondiale caratterizzata purtroppo dal diffondersi del fanatismo induista in India, buddhista in Birmania, islamico in Indonesia, Malesia e Pakistan (rischio numero nove);
- il degrado della sicurezza e le guerre civili in molti stati africani, dal Sud Sudan alla Somalia, dal Mali alla Repubblica Democratica del Congo; dopo anni in cui si è magnificata l’ascesa economica del continente nero, molti investitori, spaventati da tanta instabilità, potrebbero scegliere di lasciarlo (rischio numero dieci).