Non è un mistero per nessuno che gli ultimi nove anni siano stati durissimi per il continente europeo. A partire dallo scoppio della grande crisi economica globale del 2008, l’Europa è stata scossa da numerosissime crisi: la contrazione delle economie e l’esplodere della disoccupazione in tutto il continente, la crisi dei debiti sovrani greco, spagnolo, portoghese, italiano ed irlandese, il conflitto ucraino, la crisi dei migranti provenienti da medio oriente ed africa subsahariana, la Brexit, l’ascesa dei partiti populisti, le derive illiberali in Ungheria e Polonia ed ora il secessionismo catalano in Spagna.
Un continente che dalla fine della guerra fredda nel 1989 in poi era sempre stato considerato come un baluardo di pace, stabilità e valori liberali nel mondo sta pericolosamente scivolando in un vortice che sia le autorità comunitarie di Bruxelles sia le elites politiche nazionali fanno fatica a contenere. A tutto ciò si aggiunge, in negativo, un fattore esterno importante: la grande potenza esterna che a partire dal 1945 aveva garantito, anche dal punto di vista militare, la stabilità dell’Europa, cioè gli Stati Uniti d’America, si è involuta a partire dalla presidenza Obama ed ancora di più adesso con Donald Trump in una sorta di neoisolazionismo e disinteresse per il resto del mondo.
A questo punto, a mio giudizio, due scenari possibili si aprono per il futuro del nostro continente e dell’Unione Europea. O i politici nazionali dei 27 paesi che compongono l’Unione Europea hanno il coraggio di far compiere un grande balzo in avanti al processo di integrazione europea, che comporti una più stretta unione sia nell’ambito economico-finanziario sia in quello diplomatico e militare; oppure si continuerà a scivolare di crisi in crisi, con il rischio che le istituzioni comuni faticosamente costruite da generazioni di diplomatici e statisti europei collassino e si assista di nuovo a gravi tensioni fra paesi ed eventuali conflitti armati sul suolo europeo.
Noi europei ci siamo cullati per decenni nell’illusione che la guerra fosse ormai qualcosa da osservare sui nostri schermi televisivi, qualcosa che riguardasse altre parti del mondo, da noi con una certa dose di arroganza considerate più barbare ed arretrate. Non dobbiamo però scordarci che attualmente c’è una guerra in corso nell’Est Europa, quella fra l’esercito ucraino e le milizie separatiste del Donbass sostenute dalla Russia. Non dobbiamo nemmeno dimenticare il fatto che negli anni novanta un’altra parte del nostro continente, i Balcani, è stata squassata, dopo la disgregazione dello stato yugoslavo, da una serie di tremende guerre civili, culminate in massacri interetnici orribili come quello di Sebrenica nel 1995.
Abbiamo ancora dei grandi punti di forza: l’economia dei 27 paesi dell’Unione Europea, presi collettivamente, è la maggiore al mondo; lo stato sociale europeo, malgrado i problemi legati alla bassa natalità e all’invecchiamento della popolazione, non ha paragoni nel resto del pianeta, Stati Uniti compresi. Le opinioni pubbliche europee restano per ora profondamente pacifiste e legate allo stato di diritto. I politici italiani, tedeschi, francesi, spagnoli e degli altri paesi europei hanno ancora, per fortuna, sufficiente tempo per far invertire la rotta al Titanic Europa per impedire che vada a sbattere contro un iceberg. Devono però sbrigarsi.