Da molto tempo ormai si discute del problema dei migranti e se ne discute esaminandone diverse angolazioni: la posizione dell’UE; le posizioni dei singoli paesi dell’UE; la condizione dell’Italia, rispetto alla quale sarebbe da scoprire quale sia il vero motivo della posizione della UE, qualche giorno addietro svelato sommessamente dall’on. Bonino subito zittita; quale sarebbe l’impegno economico da sostenere per realizzare una possibile integrazione, ( sanità, istruzione scolastica dell’obbligo), fino alla concessione di abitazioni di Stato. Ne discutono i politici di tutti gli orientamenti per non lasciare il campo libero agli avversari e molti di questi, a sostegno delle proprie idee, richiamano le coscienze all’ attenzione di quanto massiccia sia stata l’immigrazione ( allora si chiamava così e gli uomini , donne e bambini si chiamavano immigrati ) degli italiani del secolo scorso, soprattutto in “America” ed in Australia.
Ma costoro non sanno o non vogliono dire che i nostri immigrati (emigranti), potevano mettere piede in terra straniera soltanto se “ chiamati” da un parente, che garantisse per loro almeno l’abitazione. E , infatti , sono di questi anni gli innumerevoli matrimoni “per procura “, soprattutto da parte di giovani donne per le quali il matrimonio con uno sconosciuto – tranne che per fotografia-rappresentava l’unica possibilità di sfuggita da una vita di fame e miseria. Per fame e miseria le famiglie si spezzavano ed i nostri italiani affrontavano mesi di viaggio per mare nelle stive delle grandi navi e, giunti nei porti, venivano accolti subito da potenti e disinfettanti getti di acqua e cloro e potevano uscire dalla cortina del porto solo dopo una quarantena volta a verificarne la regolarità dei documenti ed il perfetto stato di salute. Ma ancora l’immigrazione dei nostri connazionali era solo all’ inizio. Certo, abbiamo esportato personaggi non socialmente apprezzabili e molti delinquenti. Ma milioni di italiani in tutto il mondo hanno lavorato come bestie spezzandosi la schiena, e vivendo nei ghetti più infimi delle città nella più totale emarginazione: nessuno gli ha dato la casa, o il sussidio per vivere dignitosamente o il cellulare o il “diritto di cittadinanza” dopo cinque anni. In milioni hanno vissuto osservando le leggi del paese dove vivevano e di cui, spesso, hanno rappresentato una colonna sociale portante raggiungendo, a prezzo di enormi sacrifici e rinunce, prestigio e riconoscimenti. Per favore quindi, signori politici, quando volete ricordarci degli italiani immigrati, fatelo col cappello in mano!
Col cappello in mano!
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venerdì 29 Settembre 2017 - 16:14