Il presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha dichiarato che l’autonomia catalana non c’è più, sostituita da uno stato di emergenza, proprio poche settimane prima il pianificato referendum sull’indipendenza dalla Spagna. Madrid appare sorda al ragionevole argomento che i propri duri tentativi di fermare il voto alla fine produrranno solo il risultato di rafforzare il sentimento secessionista nella regione.
Un giudice ha mandato la polizia ad arrestare una dozzina di funzionari locali; la Guardia Civil ha sequestrato milioni di schede elettorali; il ministero centrale delle finanze si è impadronito dei conti della regione per impedire che soldi pubblici vengano utilizzati per organizzare il voto. Facendo ciò il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha ottenuto il risultato di indurire l’opinione pubblica catalana e portare migliaia di persone nelle piazze.
Se nulla sarà fatto per arrivare ad un compromesso, un disastro politico minaccia la Spagna, importantissimo membro dell’Unione Europea. È una situazione che in realtà si sta trascinando da tempo. Nel 2010 la corte costituzionale di Madrid dichiarò incostituzionali alcune parti di un rinnovato statuto dell’autonomia locale catalana, che concedeva molta più autonomia ai catalani nello gestire i propri affari.
Da allora la leadership politica catalana ha deciso di puntare sul separatismo, sulla creazione di uno stato indipendente dalla Spagna. Nel 2014 fu tenuto in Catalogna un referendum consultivo sull’indipendenza, che Madrid denunciò come illegale, stesso termine con cui ha bollato quello che si dovrebbe tenere il 1 ottobre 2017. In realtà la Spagna è già di fatto uno stato federale. La costituzione del 1978 dà grandi poteri alle entità regionali; competono al governo centrale di Madrid solo la difesa, la diplomazia e la raccolta delle tasse. Per più di trent’anni i catalani si sono trovati benissimo in questa struttura istituzionale.
Slogan populisti e atteggiamenti radicali non possono nascondere il fatto che la società catalana sia profondamente divisa sulla questione dell’indipendenza: recenti sondaggi mostrano che solo il 41% dei catalani la preferisce. La Catalogna vuole però la libertà di decidere. L’approccio legalistico di Rajoy, basato sulle decisioni della corte costituzionale spagnola, è insufficiente, perché denota una preoccupante indifferenza alle domande di un grande numero di cittadini.
Il premier pretende di parlare per la maggioranza degli spagnoli, ma deve ancora provare di avere le capacità politiche di gestire questa specifica crisi. I leader catalani paiono intenzionati a procedere con il referendum malgrado gli arresti e le confische, ma ignorare la corte costituzionale significa violare la legge.
Lo scontro fra lo stato di diritto e le aspirazioni indipendentiste di molti catalani rischia di far piombare nel caos l’intera Spagna.Frattanto a Bruxelles, i funzionari europei hanno dichiarato che una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte della Catalogna significherebbe un’uscita immediata della regione dall’Unione Europea.
Forse una mediazione europea fra le parti sarebbe utile per smorzare la crisi, ma prima Madrid e Barcellona devono gettare uno sguardo sull’abisso in cui stanno gettando lo stato spagnolo e fare un salutare passo indietro.