Sweet sixteen. Sul cemento di Flushing Meadows, Rafael Nadal ha conquistato il sedicesimo major in carriera, il terzo US Open dopo quelli 2010 e 2013. In una delle finali slam meno equilibrate degli ultimi anni, il maiorchino ha avuto ragione in tre set di Kevin Anderson, mai pericoloso per il numero 1 del ranking ATP, adesso molto vicino a garantirsi di mantenere il primato in classifica fino alla fine del 2017, grazie a un vantaggio di quasi duemila punti su Federer.
Rafa parte guardingo, rispondendo molto lontano dalla riga di fondo per non soffrire troppo il servizio di Anderson, e cerca sempre di allungare lo scambio, costringendo il sudafricano a scomode volée a rete, mentre nei suoi game in battuta il maiorchino non fatica a trovare il punto, alternando le soluzioni con grande abilità tattica, nonostante una percentuale di prime piuttosto bassa, soprattutto in avvio di partita.
Dopo un paio di game al servizio complicati, nel settimo gioco Anderson va in grande difficoltà e, sul 40 pari, compie due errori scellerati, con un doppio fallo e un attacco largo che regalano il break a Nadal. A quel punto, per il numero 1 del ranking, si tratta di ordinaria amministrazione per mettere in cascina il primo set, strappando un’altra volta il servizio all’avversario per il 6-3.
Il maiorchino continua nel suo rendimento impeccabile in battuta anche al’inizio del secondo parziale, e Anderson, nel sesto gioco, cede nuovamente il servizio, spianando la strada a Nadal che controlla senza problemi per un altro 6-3. Nel terzo set, addirittura, il break arriva già nel primo gioco, a testimonianza della confusione emotiva del sudafricano, arrivato a trentun anni suonati a giocarsi la prima finale slam della sua carriera. Big Ando non riesce a procurarsi nemmeno un’occasione per rientrare nella partita, annichilito dalle prime esterne dello spagnolo, e, inesorabilmente, si arrende a Rafa, che chiude 6-4 con il serve & volley sul match point.