Nel luglio 2018 i messicani potrebbero eleggere come proprio presidente un populista di sinistra, Andres Manuel Lopez Obrador. È in vantaggio nei primi sondaggi ed è anche favorito dai buoni risultati ottenuti dal suo partito nelle recenti elezioni statali; i suoi avversari del PRI (partito rivoluzionario istituzionale), al governo con l’attuale presidente Pena Nieto, sono in forte difficoltà, essendo visti da molti messicani come corrotti e incapaci di combattere la criminalità dilagante.
Gli altri partiti sono irrilevanti o scossi da faide interne. Certo molti continuano a temere una vittoria di Obrador, soprattutto imprenditori e classe media messicani e molti funzionari Usa. In un sondaggio realizzato a maggio, Obrador era in testa fra i possibili candidati alle presidenziali dell’anno prossimo, con il 28% delle preferenze.
A giugno il partito di Obrador, il movimento di rigenerazione nazionale (MORENA) ha quasi sconfitto il PRI di Pena Nieto nelle elezioni per il governatorato dello stato di Città del Messico, posizione occupata dal PRI ininterrottamente dal 1929. Ci sono due ragioni principali che spiegano la crisi del PRI sotto Pena Nieto: gli scandali di corruzione e il gravissimo problema della criminalità. Negli ultimi 3 anni 10 dei 32 governatori statali del Messico sono stati arrestati per corruzione.
Otto di questi appartenevano al PRI. Le accuse includono riciclaggio di denaro sporco, collusione con i cartelli della droga, richieste di tangenti agli imprenditori. Anche il presidente Pena Nieto e la moglie hanno avuto il loro mini-scandalo di corruzione, legato all’utilizzo di una villa di lusso di proprietà di un imprenditore in affari con la pubblica amministrazione messicana. Pena Nieto pare inoltre impotente di fronte al dilagare della criminalità e della violenza dei narcotrafficanti.
Non passa settimana senza che sui giornali messicani non appaiono orribili fotografie di corpi giacenti per terra e crivellati di proiettili. Sono, secondo le statistiche, in forte aumento anche i rapimenti e le rapine a mano armata. Al di là del PRI, gli altri avversari di Obrador non paiono ben posizionati per vincere le elezioni dell’anno prossimo. Il partito della rivoluzione democratica(PRD), ha ottenuto risultati pessimi alle ultime elezioni statali; il partito di azione nazionale (PAN) è indebolito dalla faida interna fra gli aspiranti leaders Margarita Zavala e Ricardo Anaya.
Obrador, malgrado negli ultimi mesi abbia cercato di dare un immagine di sé più pragmatica, resta in fondo un populista di sinistra con qualche preoccupante tendenza autoritaria. È filo-venezuelano e filo-cubano, diffida degli Stati Uniti e vorrebbe abrogare le riforme liberiste e pro business di Pena Nieto, soprattutto quella del settore energetico. Ha spesso lanciato strali contro l’accordo di libero scambio Nafta.
A meno di 11 mesi dalle elezioni presidenziali in Messico, c’é un genuino senso di rabbia nel paese, diretto contro una classe politica percepita come inetta e corrotta. Obrador potrebbe facilmente approfittarne, e trionfare. A Washington sarebbe meglio che l’amministrazione Trump prendesse nota della situazione, e che The Donald abbassasse i toni della sua retorica sul muro al confine fra i due paesi e contro l’immigrazione.