La Dia di Reggio Calabria ha eseguito un maxi sequestro di beni nei confronti di Vincenzo Oliveri, noto imprenditore nel settore oleario con interessi sia nel comparto alberghiero che in quello immobiliare e dei servizi non solo in Calabria (piana di Gioia Tauro e provincia di Catanzaro), ma anche nelle regioni Abruzzo e Toscana.
Vincenzo Oliveri era figlio del defunto Matteo Giuseppe, cl. 28 Oliveri, e fratello di Antonio, cl. 65, da tempo stabilitosi a Giulianova, insieme al quale era socio in numerose iniziative imprenditoriali avviate sin dai primi anni ‘80 e culminate con la costituzione di un vero e proprio impero imprenditoriale (c.d. Gruppo Oliveri), le cui attività, partendo dal settore oleario, si sono diversificate nel tempo, soprattutto in quello alberghiero di lusso.
Il proposto, sin dagli anni ‘80, risultava coinvolto in diversi procedimenti penali per la commissione di reati associativi finalizzati alla commissione di truffe aggravate, frode in commercio, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, i quali si sono conclusi con sentenze dichiarative di prescrizione.
Successivamente, Oliveri Vincenzo è stato tratto in arresto in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa il 26.07.2010 dal gip del Tribunale di Palmi (RC), per i reati di associazione a delinquere, truffa aggravata ed altro, in ordine all’indebita percezione di contributi erogati ai sensi della legge 488/1992 ad aziende facenti parte del Gruppo Oliveri.
Con l’odierno provvedimento, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha integralmente confermato quanto disposto dal precedente decreto del Tribunale di Reggio Calabria – Sezione M.P., del 29 gennaio 2016, nei confronti di Vincenzo Oliveri, Giovanni Oliveri, Matteo Giuseppe Oliveri e Domenica Rosa Carnevale.
In particolare, l’organo giudiziario di secondo grado ha innanzitutto condiviso e confermato le conclusioni raggiunte dal Tribunale in ordine alla eccezione di incompetenza funzionale dell’autorità giudiziaria di Reggio Calabria, in favore di quella di Teramo, avanzata dal proposto.
È stato, infatti, ribadito che il centro decisionale ed operativo delle aziende riconducibili al proposto e ai terzi interessati è sicuramente da individuarsi nel territorio di Gioia Tauro. Anche il requisito della pericolosità sociale del proposto (di tipo semplice, ex art. 1 del codice antimafia) è stato confermato dalla Corte d’Appello.
Nella vicenda in esame, il predetto organo giudiziario ha precisato che: “Non vi è dubbio che la storia giudiziario-imprenditoriale di Vincenzo Oliveri comprovi come costui sia stato abitualmente dedito a traffici delittuosi ed abbia vissuto abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.
Anche in relazione al versante patrimoniale della proposta della dia di Reggio Calabria, la Corte ha evidenziato che, a fronte della pericolosità sociale dell’Oliveri, “è del tutto consequenziale che quanto finanziariamente lucrato mediante quell’attività fraudolenta è stato immesso nel circuito produttivo della costellazione di aziende che costituivano l’universo imprenditoriale degli Oliveri, facendo sì che si attuasse quel meccanismo moltiplicatore che consente una crescita esponenziale dell’impresa, che altrimenti non avrebbe raggiunto quelle dimensioni notevoli che invece ha potuto conseguire” .
Infine, è stata riconosciuta la fondatezza dell’attività di analisi documentale svolta dalla DIA che ha permesso di determinare, attraverso i volumi di affari, “il valore medio della produzione per ettaro coltivato”, elemento questo ritenuto indispensabile per rappresentare, nel modo più realistico possibile, la reale capacità economica del proposto, “arrivando così a riscontrare l’inattendibilità del volume d’affari dichiarato dall’appellante”.
È stata, quindi disposta e confermata la confisca di 15 società operanti nei settori agricolo-oleario, turistico-alberghiero, immobiliare e dei servizi; 88 immobili, tra cui spiccano gli edifici sede degli alberghi/ristoranti/resort di gran lusso Hotel Villa Fiorita di Giulianova (TE) e Il Feudo degli Ulivi sito in Borgia di Catanzaro; 7 autoveicoli personali ed aziendali; 385 titoli comunitari (aiuti all’agricoltura) che danno diritto a percepire dall’AGEA la somma di circa 1,6 milioni di euro annui e svariati conti correnti societari e personali.
Il valore complessivo dei beni confiscati è stimato in circa 324 milioni di euro. Tutte le aziende confiscate proseguono regolarmente le loro attività commerciali con appositi amministratori giudiziari nominati dall’Autorità Giudiziaria.