“La Germania è troppo grande per l’Europa e troppo piccola per il mondo”; questa frase, pare pronunciata dall’ex segretario di stato americano Henry Kissinger, sembra sancire l’eterno destino tedesco: un peso economico e demografico straripanti in Europa, insufficiente però a garantirle un posto fra le superpotenze mondiali. Per due volte, nel secolo scorso, la Germania ha tentato di affermarsi come potenza di terra, scatenando due guerre mondiali che hanno devastato il continente europeo. Da qui deriva un complesso di colpa che tuttora affligge le elite tedesche, riluttanti ad assumere un ruolo guida a livello europeo ed internazionale.
Malgrado questo, da anni è perfettamente noto a tutti a Berlino che il paese non potrà continuare a lungo a nascondere la testa sotto la sabbia. La cancelliera Angela Merkel almeno dal 2010 ha assunto un ruolo primario a livello europeo, su questioni che vanno dalla crisi debitoria greca a quella dei rifugiati siriani. Due avvenimenti dell’ultimo anno, in particolare, hanno accresciuto quasi per caso il ruolo geopolitico tedesco: la Brexit del giugno 2016 e l’elezione alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, che non pare particolarmente interessato all’Alleanza Atlantica e alla guida dell’Occidente.
Il G20 di Amburgo del 7-8 luglio 2017 ha mostrato un’Angela Merkel salda nel suo ruolo di padrona di casa e di diplomatica paziente ma intransigente. L’obiettivo più concreto della cancelliera era quello di mostrare l’importanza del dialogo fra paesi come metodo, al di là delle asprezze sempre più diffuse nelle relazioni internazionali. In questo senso, il G20 tedesco è stato un discreto successo anche perché gli sherpa dei 20 paesi sono riusciti ad arrivare ad un documento finale comune. Sul fronte interno, il G20 è stato uno spot elettorale per la Merkel, in vista delle elezioni politiche di settembre: la cancelliera ha voluto mostrare ai tedeschi di essere la sola nel panorama politico nazionale capace di muoversi nel nostro difficile mondo multipolare. Questo significa che un eventuale quarto governo Merkel avrà vita facile e condurrà il proprio paese ad essere leader del mondo occidentale? Niente affatto.
Mentre alcuni commentatori parlano avventatamente di nuova egemonia tedesca, il paese deve, se vuole darsi una chiara strategia per il futuro, risolvere alcuni grossi problemi. Innanzitutto, il proprio nanismo militare. L’esercito tedesco è inefficiente ed ha capacità tecnologiche modeste. Molti politici tedeschi sognano un mondo irenico, in cui il paese non abbia bisogno di un adeguato strumento militare, perché tutte le questioni si risolvono pacificamente. Ma la realtà è un’altra e lo dimostra la tragica situazione alle frontiere orientali e meridionali dell’Europa, coll’irrisolta crisi ucraina e le guerre civili in Siria e Libia.
La potenza militare conta ancora nel mondo di oggi, anche se non sarà facile farlo capire all’opinione pubblica tedesca, profondamente pacifista. Poi, il dramma delle migrazioni internazionali. Fra 2015 e 2016 la Germania ha accolto oltre un milione di profughi, in prevalenza siriani per poi, di fronte ai mal di pancia dell’opinione pubblica interna, chiudere frettolosamente la rotta balcanica grazie all’accordo con la Turchia di Erdogan. Oggi su questo tema i tedeschi sono isolati in Europa: italiani e greci, in prima linea sul fronte dell’accoglienza, li accusano di insensibilità ed egoismo mentre polacchi, ungheresi e cechi rifiutano qualunque meccanismo di ripartizione dei profughi, accusando la Merkel di promuovere un irresponsabile multiculturalismo distruttore della coesione sociale.
Infine, c’è il grande problema della struttura dell’economia tedesca, che sta provocando da anni squilibri in tutta l’Eurozona. E’ un’economia tutta orientata all’export, all’accumulazione di un enorme surplus di bilancio e a una certa compressione dei consumi interni. Perché la situazione si riequilibri in Europa, i tedeschi dovranno consumare, importare ed investire di più, cambiamenti questi che non saranno facili da spiegare ad un’opinione pubblica interna convinta che il proprio paese, così com’è oggi, sia un modello di sana gestione economica. Tra tante sfide, opportunità e difficoltà una cosa sola è certa: dopo settant’anni, è finito il lungo dopoguerra tedesco.