È sempre più chiaro che il presidente Donald Trump rappresenta un grande cambiamento nel ruolo internazionale degli Stati Uniti. Perciò gli Stati Uniti non avranno più quel ruolo predominante nel governare gli affari mondiali che hanno avuto a partire dal 1945, sia sotto presidenti repubblicani che democratici. Già si vedono vari esempi di questo cambiamento. L’”America First” di Trump ha sostituito il tradizionale impegno americano per le organizzazioni internazionali.
Alleanze con paesi come Giappone, Corea del Sud e Germania sono sempre più condizionate da quanto questi alleati spendano per la propria difesa e dal fatto se abbiano o meno surplus commerciali con gli Stati Uniti. Il commercio estero è visto con sospetto, come fonte di disoccupazione più che forza creatrice di posti di lavoro. Le politiche sull’immigrazione e sui rifugiati sono diventate più restrittive. C’è molta meno enfasi sulla promozione all’estero di democrazia e diritti umani. Molti soldi vanno al Pentagono, pochi alla lotta contro la malnutrizione e le malattie infettive nel continente africano.
Tutto ciò però non va confuso con l’isolazionismo. Anche l’America di Trump continuerà ad aver un suo ruolo a livello mondiale. Sta infatti usando la forza militare in Medio Oriente e Afghanistan e sta rinegoziando il trattato commerciale Nafta con Canada e Messico. Inoltre ha aumentato la pressione diplomatica sulla Corea del Nord per fermarne i programmi missilistico e nucleare. Malgrado ciò il cambiamento è però innegabile: si va da un mondo dominato dagli Stati Uniti e da istituzioni da loro create verso qualcos’altro.Cosa sarà questo qualcos’altro non lo possiamo ancora dire, soprattutto perchè non c’e’ nessun’altra grande potenza con la volontà e la capacità di sostituire gli Usa.
La leadership cinese resta concentrata soprattutto sul fronte domestico, impegnata a mantenere livelli altissimi di crescita economica, preoccupata dalla possibilità di rivolte popolari; la Cina vuole aumentare la propria influenza geopolitica tramite le istituzioni regionali e internazionali, non certo contribuire alla stabilità e al benessere globali. La Russia ha un economia piccola e poco diversificata, dipendente dall’export di gas e petrolio; vuole consolidare la propria influenza nello spazio ex sovietico e nel Medio Oriente. L’India è tutta concentrata sul proprio sviluppo economico interno e sulla problematica relazione col vicino Pakistan. Il Giappone è ancora visto con sospetto da molti vicini per le nefandezze compiute durante la seconda guerra mondiale ed ha un’economia ed una popolazione stagnanti.
L’Europa sta cominciando ora a riprendersi a fatica dalla crisi dell’euro, ha subito un anno fa il duro colpo della Brexit ed è lacerata da polemiche e divisioni interne. Non dobbiamo però rassegnarci ad un mondo di caos: sarà piuttosto un mondo più regionalizzato, in cui meccanismi ed istituzioni regionali cercheranno di sostituirsi a quelle internazionali e agli Stati Uniti ormai distratti nel cercare di risolvere i problemi. Delle regioni del mondo, l’Europa, con tutti i suoi problemi, è quella che funziona meglio ed è più integrata; tragica è invece la situazione del Medio Oriente, che pare condannato a lunghi anni di guerre civili ed instabilità.