“La cura e l’assistenza continua che ha Totò Riina sono identiche o superiori a quelle che potrebbe avere in libertà, a lui è assicurato ogni diritto“. A fare chiarezza sulle reali condizioni del boss dei boss di Cosa Nostra è la presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, che ieri ha fatto un sopralluogo presso la struttura ospedaliera di Parma, dove Riina è ricoverato.
La Bindi racconta: “Ieri mi sono recata, senza preavvertire all’ospedale della città emiliana e presso la sezione del 41 bis della casa circondariale. Nella struttura ospedaliera si è constatato che il detenuto, con il quale non si è dialogato, era vigile, in sedia a rotelle, in stanza ampia e pulita”.
Inoltre Riina “si alimenta correttamente” e le sue patologie “non manifestano condizioni acute”, ha aggiunto la presidente dell’Antimafia. Il boss “è costantemente accudito, più volte al giorno dagli infermieri, interloquisce normalmente con il personale, svolge colloqui con i familiari, scrive lettere e legge quelle che riceve, e solo in rare occasioni ha rinunciato alle udienze”.
“La cella – ha poi svelato la Bindi – dove è stato fino al gennaio 2016, è previsto che sia ampliata e dotata di letto ‘ospedaliero’ per un eventuale rientro in carcere del boss e questi lavori sono iniziati oggi, dove dunque troverebbe condizioni migliori. Riina conserva tuttavia immutata sua pericolosità concreta e attuale“.
Il boss ha mostrato di essere “interessato alle vicende processuali” che lo riguardano. Per la presidente dell’antimafia, va inoltre ricordato che in mancanza di “nuove leadership (nella mafia, ndr) i soggetti che tornano in libertà, riassumono i ruoli precedenti”. “Riina resta il capo di cosa nostra per le stesse regole mafiose e non perché lo Stato ha vinto”.
Il personale medico “ha inoltre spiegato che il Riina si alimenta autonomamente, è tenuto sotto stretta osservazione medica – quasi ‘a vista’ – per il controllo delle sue patologie che peraltro, allo stato, non presentano manifestazioni acute, e, per quanto attiene alle sue generali condizioni di decadimento fisico, è costantemente assistito da una equipe di infermieri che lo accudisce più volte al giorno per ogni necessità”.
Presso la casa di reclusione di Parma “si è quindi proceduto alla visita della cella ove Riina è stato allocato fino al gennaio 2016 e dove potrebbe rientrare nel caso in cui il suo stato di salute dovesse consentirlo”. “Si è notato che, nonostante le ristrette dimensioni della cella assegnatagli, del resto corrispondenti a quelle inserite nelle sezioni dedicate al regime dell’art. 41-bis op, vi era già comunque la presenza di un letto di degenza, seppure con sistema manuale di vecchia tipologia che, come spiegato dal direttore del carcere, venne fornito al detenuto sin dal momento in cui ne fu imposta la prescrizione, da oltre un anno”.
Il direttore ha aggiunto “che è già stato realizzato il progetto, di cui la Commissione ha visionato copia, per ampliare la stanza – in modo sia di installare un letto ospedaliero più moderno, sia di creare un bagno accessibile con la sedia a rotelle, sia di consentire al personale della ASL di somministrare con maggiore facilità i trattamenti riabilitativi – e che i relativi lavori avranno inizio oggi e richiederanno pochi giorni lavorativi”.
Si è quindi accertato che, “sebbene il Riina abbia da sempre goduto della massima attenzione medica e assistenziale e che, anzi, la struttura carceraria ha cercato di adeguarsi progressivamente al mutare delle esigenze del recluso, l’attuale situazione è certamente mutata in meglio rispetto allo stato dei fatti apprezzato dalla Suprema Corte e risalente al maggio 2016″.
“Per il Riina si è stati in grado di assicurare ogni suo diritto nel regime intramurario”, va espressa invece “preoccupazione per quanto potrebbe accadere a breve rispetto alla gestione di altri detenuti sottoposti al regime del 41- bis bisognosi di trattamento similare”.
La presidente dell’Antimafia poi spiega: “Non sempre, infatti le strutture ospedaliere pubbliche hanno, nella sezione riservata ai detenuti, un numero di celle sufficienti per rispondere a richieste di cura e di assistenza che si prevedono crescenti, così come, parallelamente, i continui spostamenti dei detenuti ospedalizzati per la partecipazione a distanza alle udienze“.
“Tutto ciò richiederà un maggiore numero di personale specializzato penitenziario con aumento dei rischi. Occorre dunque adottare tempestivamente soluzioni di ricovero e cura ottimali, per quanto possibile intramurarie dentro il sistema carcerario, in grado di soddisfare i diritti del singolo ma anche la tutela della collettività, nonché comunque soluzioni idonee a evitare ripetuti trasferimenti dei detenuti adeguando ove occorra – ha concluso la Bindi – le stesse strutture sanitarie pubbliche con sistemi di videoconferenza”.