Colpo mortale al clan Polverino di Napoli. I carabinieri del Ros hanno eseguito un provvedimento cautelare, emesso dalla procura distrettuale antimafia di Napoli, nei confronti di cinque persone indagate per concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio, minaccia e falsità materiale e ideologica commessa da pubblico ufficiale, reati aggravati dalle finalità mafiose.
In manette nell’inchiesta sono finiti gli imprenditori Aniello e Raffaele Cesaro di Sant’Antimo, altri due imprenditori e un ingegnere.
Al centro delle indagini del Ros, spiegano i carabinieri, ci sono “le infiltrazioni del clan Polverino, egemone nell’area nord occidentale di Napoli, nella realizzazione del piano di insediamento produttivo del comune di Marano (Napoli), importante infrastruttura per il rilancio dell’economia locale che prevede lavori per 40 milioni di euro“.
Dalle indagini è emerso il “patto” tra il clan camorristico e due fratelli imprenditori di Sant’Antimo (Napoli), “funzionale all’aggiudicazione dell’appalto attraverso intimidazioni mafiose e reimpiego delle ingenti risorse economiche provenienti dai traffici illeciti del clan”, spiegano i carabinieri.
Contestualmente i militari hanno eseguito un decreto di sequestro di beni immobili, partecipazioni societarie e rapporti finanziari per un valore di 70 milioni di euro. Oltre ai fratelli Cesaro sono stati raggiunti dal provvedimento restrittivo in carcere anche Antonio Di Guida, Pasquale Di Guida e Oliviero Giannella.
I fratelli Cesaro, in particolare, avrebbero imposto all’ex sindaco di Marano una variante al piano regolare e la nomina di un professionista di fiducia per redigere lo studio di fattibilità del piano, e la predisposizione di tutti gli atti necessari per lo svolgimento della gara in modo da pilotarla a favore dei Cesaro.
Il professionista nominato è indagato insieme ad un altro. Nessuno dei due è stato raggiunto da misure cautelari. I Cesaro e i loro complici avrebbero intimidito i proprietari dei terreni espropriati per farli desistere dalle loro pretese. La ‘rete’ di professionisti avrebbe compiuto una serie di atti e di certificazioni falsi per realizzare capannoni e opere di urbanizzazione e il collaudo tecnico-provvisorio delle opere.
Ciò sarebbe avvenuto anche con pressioni di tipo mafioso sui pubblici funzionari per costringerli ad attestare, falsamente, la conformità dei lavori. Infine i fratelli Cesaro avrebbero assegnato a una società nelle mani dei Polverino i lavori di sbancamento e le forniture dei materiali, per ‘ripagarli’ del ‘piacere’ ricevuto.
Documentati una serie di tentativi di inquinamento delle prove da parte degli indagati, oltre a numerose inadempienze contrattuali tanto che il primo dicembre 2016 fu disposto il sequestro preventivo delle opere di urbanizzazione realizzate con soldi pubblici, perché mancava il collaudo e c’era il pericolo concreto per i cittadini della zona.
L’attività investigativa si è avvalsa anche delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia i quali hanno riferito agli inquirenti che molti dei soldi investiti nella realizzazione del Pip di Marano provenivano dai traffici illeciti di sostanze stupefacenti.
Un’operazione di riciclaggio imponente anche grazie alla complicità dell’ingegnere Oliviero Giannella che avrebbe intestato fittiziamente degli immobili alle società costruttrici, schermando così la titolarità dei beni al clan Polverino.