Il più grande debitore italiano, si sa, è la pubblica amministrazione. Basta dare uno sguardo alle stime diffuse dalla Cgia di Mestre per rendersi contro della portata di quello che viene definito “un malcostume tutto italiano”. Ai creditori dello Stato, infatti, spetta una cifra che oscilla tra un valore minimo di 32 miliardi fino a un massimo di 46 miliardi di euro per le prestazioni del 2016.
I saldi non sono stati effettuati a causa dei ritardi dei pagamenti e delle prassi inique praticate dai committenti pubblici ai propri fornitori. L’importo, secondo la Cgia, è stato calcolato suddividendo in via puramente teorica i 160 miliardi di euro nell’arco dell’anno e “pesandoli” su 12 mensilità nel caso delle P.a. che pagano a 30 giorni e in 6 mensilità per quelle che invece saldano a 60 giorni (come la sanità), si ottiene la cifra di 19 miliardi di debiti fisiologici che non vengono onorati nell’arco dell’anno perché non sono ancora scaduti i termini di pagamento previsti dalla legge.
E secondo l’Istat l’importo, riferito solo ai debiti di parte corrente che l’istituto ha notificato alla Commissione europea per l’anno 2016 , è ancora maggiore: 51 miliardi di euro. La Banca d’Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro (anno 2015). Le principali cause che hanno dato origine a questo che la Cgia definisce un “malcostume tutto italiano” sono le seguenti: la mancanza di liquidità del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi ragionevolmente brevi i certificati di pagamento e le contestazioni.
E quando dall’inizio del 2015 ha fatto il suo “debutto” lo split payment, l’obbligo per le amministrazioni centrali dello Stato (e dal prossimo primo luglio anche le aziende pubbliche controllate dallo stesso) di trattenere l’Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all’erario, il dato è nettamente peggiorato. Il meccanismo, sicuramente efficace nell’impedire che l’imprenditore disonesto non versi l’Iva all’erario, ha però penalizzato chi con l’evasione nulla hanno a che fare.
“I debiti della Pa hanno ormai assunto una dimensione surreale – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – da due anni, infatti, le imprese che lavorano per l’Amministrazione pubblica hanno l’obbligo di emettere la fattura elettronica, altrimenti non possono essere liquidate”.
Zabeo spiega il meccanismo: “Nella fase di ingresso, questo documento informatico transita in una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che lo smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile. Una volta che il destinatario della fattura dà l’ok, il saldo dovrebbe transitare per la piattaforma, consentendo al dicastero dell’economia di monitorare in tempo reale i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite”.
Dopo 2 anni, invece, “lo Stato non conosce ancora a quanto ammonta complessivamente il debito contratto con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo quelli periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite per legge. Una vicenda che ha dell’incredibile”.