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Donald Trump “comincia” dagli amici sauditi | Isis, Iran e corsa agli armamenti temi caldi

L’Arabia Saudita sarà la prima tappa del primo viaggio all’estero di Donald Trump. Il presidente –tycoon si recherà a Riyadh prima di proseguire per Israele, il Vaticano, un meeting della Nato a Bruxelles e infine il G7 di Taormina. Le autorità saudite hanno preparato una spettacolare accoglienza per il presidente Usa, ignorando le crescenti preoccupazioni per il suo temperamento e insistendo che la sua visita confermerà lo status del regno come importante forza regionale.

I funzionari sauditi, scottati dall’esperienza di 8 anni di rapporti spesso tesi con l’amministrazione democratica guidata da Barack Obama, sono molto soddisfatti per la scelta di Trump di venire in visita nel loro paese. Quest’ultimo dal canto suo, assediato dagli scandali domestici, vorrebbe affermarsi come leader di caratura internazionale tenendo un importante discorso sull’Islam nel luogo di nascita di quella religione.

I leaders di Riyadh sono anche convinti che Trump accorderà loro una delle più importanti vendite di armamenti della storia e che appoggerà i loro piani per la formazione di una Nato araba che si occupi della sicurezza regionale. Il presidente Usa nel suo discorso si soffermerà molto probabilmente sull’Isis e più in generale sul pericolo rappresentato dal terrorismo di matrice islamista.

Ciò paradossalmente potrebbe fornire alla leadership saudita un’utile copertura politica per cercare di limitare l’influenza degli imam wahabiti ultraconservatori nella vita politica del paese. Il discorso di Trump sarà per lui anche occasione di tendere una mano amichevole al mondo islamico, dopo la propaganda islamofoba della campagna elettorale del 2016 e le polemiche seguite al decreto presidenziale che vietava l’immigrazione negli Usa da alcuni paesi musulmani.

I sauditi hanno seguito tutto ciò con dispiacere e sospetto, ma sono stati molto rassicurati dalla retorica anti-iraniana proveniente dalla nuova amministrazione, in particolare dal direttore della Cia Mike Pompeo e dal segretario alla difesa James Mattis. Come dichiarato da un anonimo membro della famiglia reale saudita: ”Ciò che conta per noi è l’Iran. Tutto il resto è secondario”. Il viceré e ministro della difesa del regno saudita, Mohammed Bin Salman, ha usato la visita di Trump per dare forza al proprio programma di riforme interne, che include un rimaneggiamento dell’enorme settore pubblico, e maggiore apertura attraverso per esempio scambi culturali con l’estero.

La base dell’accordo fra l’amministrazione Trump e i sauditi sarebbe questa: gli Usa sosterranno le riforme per modernizzare economia e società del regno e porteranno avanti una politica di contenimento nei confronti dell’Iran; in cambio i sauditi terranno d’occhio i propri imam troppo radicali e daranno un contributo maggiore alla lotta contro i jihadisti dell’Isis. Le strade del centro di Riyadh sono già piene di bandierine saudite e americane. In città molti sono informati sia sui problemi domestici di Trump che sul suo passato da imprenditore e star televisiva.

Ecco l’opinione di Khaled Salman, un broker finanziario: ”Non credo che Trump comprenda la pericolosità dell’Iran ma gli uomini attorno a lui sì. E questo è importante”. Il neopresidente Usa, durante questa visita di stato, parteciperà anche ad un banchetto con 50 leaders arabi e musulmani che secondo il re saudita Salman servirà a forgiare una nuova partnership.

Trump è entusiasta, anche per ragioni di politica interna, di smantellare la politica obamiana di riavvicinamento all’Iran, culminata con l’accordo sul nucleare del 2015. Ciò costituisce anche un ritorno a quella che è stata la tradizionale politica americana nella regione dal 1979: l’alleanza con l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo Persico in funzione anti-iraniana. Il pragmatismo di The Donald potrebbe portare a risultati migliori che l’idealismo di Obama nel trattare con gli autocrati di Riyadh.

Giuseppe Citrolo

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