Almeno 30 milioni di euro di risarcimento per i centinaia di pazienti italiani vittime dei danni da emotrasfusione con sangue infetto. L’ha deciso la prima Corte d’appello civile di Roma, respingendo un appello del ministero contro una sentenza emessa nel 2006 dal tribunale monocratico romano.
Il risarcimento spetterà al ministero della Salute. I giudici hanno affidato a un separato giudizio la quantificazione dei danni biologici, morali e patrimoniali. Il ministero della Salute aveva motivato il ricorso sostenendo che sarebbero state responsabili le singole Regioni in quanto depositarie dei compiti amministrativi in materia di salute umana e veterinaria.
Per i giudici è invece il ministero a “dover rispondere dei danni conseguenti ad epatite e a infezione da Hiv, contratte da soggetti emotrasfusi, per omessa vigilanza sulla sostanza ematica e sugli emoderivati“. Soddisfazione per la sentenza è stata espressa dall’avvocato Marcello Stanca, presidente nazionale dell’Amev Firenze e patrocinatore di alcuni dei danneggiati.
“Sono passati tanti anni – ha detto Stanca – ma alla fine i giudici d’appello hanno confermato le nostre ragioni, ritenendo la responsabilità del ministero nonostante il tentativo di scaricare la colpa sulle Regioni”. I giudici hanno ritenuto “presunta” la responsabilità da contagio fin dall’anno 1979, stabilendo che sangue ed emoderivati somministrati agli ammalati non rispondevano ai requisiti di “pulizia e di igiene preventiva che avrebbero sicuramente impedito il contagio”.
In questo quadro, “la sentenza offre spunti di riflessione poiché pone dubbi molto seri sull’efficacia del sistema di farmacovigilanza”, afferma l’Amev Firenze in una nota. “Auspichiamo che il governo voglia finalmente estendere il diritto all’equa riparazione, pari a 100mila euro, a tutti i contagiati da emotrasfusione che finora sono stati esclusi dall’accesso al beneficio”.