Erano nel posto sbagliato nel momento sbagliato: sono i 14 morti e i tanti feriti che lunedì scorso sono stati vittime innocenti dell’ennesimo attentato kamikaze che questa volta ha colpito la metropolitana della città russa di San Pietroburgo. Un attentato firmato da Akbarzhon Dzhalilov, 22enne di origine kirghisa, che viveva a San Pietroburgo da alcuni anni avendo acquisito la cittadinanza russa e lavorava come meccanico. Pochi i segni di radicalizzazione: solo qualche link a siti islamisti sulle sue pagine dei social media e le descrizioni di alcuni colleghi di lavoro che lo vedevano strano e taciturno negli ultimi tempi.
I genitori di Dzhailov, disperati e increduli, sono arrivati a San Pietroburgo dal Kirghizistan mercoledì 5 aprile per essere interrogati dalla polizia russa. Il bilancio dell’attentato è tragico: 14 morti e decine di feriti, alcuni dei quali gravissimi. Tra i morti c’erano persone di tutti i tipi che semplicemente si sono trovate al posto sbagliato nel momento sbagliato.
C’era una famosa disegnatrice di bambole, Irina Medyantseva, cinquantenne, che si trovava nella metro in compagnia della figlia ventenne, alla quale ha fatto da scudo col proprio corpo: lei è morta, la giovane figlia, ricoverata in ospedale, se la caverà. Il marito della donna, Alexander Kaminsky, ha scritto su Vkontakte, l’equivalente russo di Facebook: “Catastrofe. Ho perso la mia amata moglie”.
C’era un allenatore di wrestling che lavorava con i bambini, Denis Petrov, appena venticinquenne, biondo, alto e con numerosi tatuaggi. Aveva chiamato in mattinata i colleghi della palestra dicendo loro che sarebbe arrivato al lavoro verso le 3 del pomeriggio e quando questi ultimi hanno saputo dell’attentato, gli hanno telefonato sul cellulare decine di volte, fino all’arrivo della tragica notizia della morte del giovane. Kirill Mikhailov, padre di uno dei bambini che Petrov allenava, ha scritto sul web: “L’allenatore di lotta di mio figlio, Denis Petrov, è morto nell’attentato della metropolitana qui a San Pietroburgo. Era una persona d’oro. La sua memoria ci accompagnerà sempre”.
C’era una studentessa ventenne, Dilbara Aliyeva, iscritta al terzo anno di economia e management all’Università Alessandro Primo di San Pietroburgo; sul suo sito web l’Università ne ha annunciato la morte, aggiungendo: “Come ogni ragazza, aveva amici, faceva piani per il futuro, amava la vita”. Era di origine azera ma da adolescente si era trasferita a San Pietroburgo con la famiglia.
C’era un altro studente, Maksim Aryshev, 19enne di origini kazake, iscritto all’Università Statale di Economia di San Pietroburgo. Sognava di diventare programmatore informatico. Gli amici affranti lo descrivono come simpatico e socievole, l’anima di tutte le feste.
Poi i feriti, traumatizzati e smistati in decine di ospedali; per esempio, dal suo lettino all’Ospedale Numero Ventisei di San Pietroburgo il quarantenne Konstantin Kolodkin, grande e grosso e con i baffi, meccanico come l’attentatore, testimonia: “Ero in metro, tornavo dal lavoro. Poi improvvisamente ho sentito l’esplosione. Sono uscito immediatamente dalla carrozza e dopo qualche minuto di shock sono venuto qui in ospedale. Ho varie ferite”.
Per quanto a lungo dovrà il mondo convivere con questi orrori?