Il Mar Cinese Orientale e quello Meridionale sono attualmente fra le aree a più alta tensione geopolitica al mondo. Sono potenziale terreno di scontro fra Pechino e alcuni paesi vicini e anche fra la Cina e gli stessi Stati Uniti. Washington vuole mantenere il dominio degli oceani e impedire l’emergere di una potenza rivale in Asia Orientale mentre Pechino intende difendere le proprie coste da attacchi nemici e tutelare le proprie rotte strategiche. Perciò, il presidente Xi Jinping sta modernizzando rapidamente le forze armate cinesi e in particolare la marina militare e la guardia costiera.
Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Filippine, Malesia, Indonesia e Brunei sono tutti coinvolti in dispute marittime con Pechino. Nel Mar Cinese Orientale, oggetto del contendere fra cinesi e giapponesi sono le isole Senkaku o Diaoyu. Dal 2012 la marina militare cinese conduce periodicamente “missioni di esplorazione” attorno a queste isole e nel 2013 l’aeronautica militare di Pechino ha tracciato sopra di esse una zona d’identificazione per la difesa aerea. Nel Mar Cinese Meridionale, la Cina e i paesi dell’Asean si contendono gli arcipelaghi Spratly e Paracelso. Qui i cinesi hanno costruito negli ultimi anni avamposti militari e hanno organizzato visite turistiche per i propri connazionali.
Gli Stati Uniti sono molto attenti alle iniziative cinesi nei mari asiatici e stanno anch’essi rafforzando la presenza della propria marina militare, in particolare nel Mar Cinese Meridionale, per sostenere soprattutto vietnamiti e filippini. A febbraio 2017 c’è stato un pericoloso incontro ravvicinato tra due jet da ricognizione, uno cinese e l’altro americano, nei cieli dell’atollo di Scarborough, conteso fra Cina e Filippine. L’atteggiamento aggressivo da parte dei cinesi dipende dal fatto che le elite di Pechino percepiscono il proprio paese come molto vulnerabile dal punto di vista marittimo; basta dare un’occhiata ad una carta geografica per comprendere il senso d’assedio cinese: a nord ecco Corea del Sud e Giappone, costellati di basi militari statunitensi; poi c’è la ”provincia ribelle” di Taiwan, armata fino ai denti da Washington; più a sud le Filippine, altro tradizionale alleato americano nella regione.
Oltre alla geografia, a Pechino pesa il ricordo di vicende storiche in cui nemici venuti dal mare hanno sconfitto e umiliato la Cina: le Guerre dell’Oppio con la Gran Bretagna (1839-42 e 1856-60), la prima Guerra Sino-giapponese (1894-95) e infine le aggressioni del Giappone imperialista negli anni trenta del novecento. La Cina considera tuttora il Giappone come la principale minaccia regionale alla propria sicurezza e la riunificazione di Taiwan alla “madrepatria” un interesse fondamentale (in cinese “Hexin Liyi”). Xi Jinping ha lanciato a partire dal 2015 una grande riforma delle forze armate cinesi, che consolida la strategia di interdizione dello spazio marittimo che vorrebbe impedire alle portaerei americane di potersi avvicinare alle coste cinesi e prevede la sperimentazione di nuove armi, come i missili intercontinentali Dongfeng e DF-41, in grado di colpire in mezz’ora le coste californiane.
Pechino sta inoltre sperimentando bombardieri di lunga gittata, capaci di trasportare bombe nucleari e sottomarini anti-nave. Per ora i cinesi possono contare su una sola portaerei, la Liaoning, di fabbricazione ucraina e molto antiquata; stanno però fabbricandone un’altra interamente Made in China che dovrebbe diventare operativa nel 2020. Malgrado questi sforzi di ammodernamento militare, il divario con gli Stati Uniti resta enorme. Nel 2016 il governo di Pechino ha speso per le proprie forze armate 147 miliardi di dollari; Washington del canto suo, nello stesso anno, ha assegnato al proprio Dipartimento della Difesa ben 580 miliardi di dollari.
Come si comporterà l’amministrazione Trump di fronte alle tensioni marittime asiatiche e come risponderà alla crescente assertività militare cinese? I segnali giunti finora sono abbastanza contrastanti. Trump, poco dopo la propria elezione, ha telefonato alla presidente taiwanese Tsai Ing-Wen, facendo infuriare Pechino, per poi fare una parziale marcia indietro assicurando a Xi Jinping il rispetto da parte americana della politica “Una Sola Cina”. Rex Tillerson, segretario di stato, ha affermato, commentando la costruzione da parte dei cinesi di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale: “Manderemo un chiaro messaggio a Pechino. La costruzione di queste isole artificiali deve cessare”. Ha invece smorzato i toni il segretario alla Difesa James Mattis che, nel corso di una visita in Asia Orientale, ha escluso la necessità di nuove manovre militari da parte della marina a stelle e strisce nei mari asiatici. E’ dunque probabile che nel corso del 2017 ci saranno nuove tensioni fra la Cina e alcuni suoi vicini marittimi, e fra Pechino e Washington, ma è da escludersi uno scontro armato diretto. Al momento, per fortuna, le teste calde non sembrano prevalere.