La presidenza di Donald Trump lascia intravedere la fine dell’ordine mondiale a guida americana; le interazioni fra grandi e medie potenze stanno andando incontro a rapidi cambiamenti. L’influenza politica, militare ed economica statunitense si sente ancora nel mondo e gli Stati Uniti sono ancora l’unica vera superpotenza globale. Questo però maschera il fatto che il potere americano di influenzare gli eventi mondiali è grandemente diminuito.
L’unica altra entità politica che avrebbe il potenziale per un’influenza globale è l’Unione Europea che tuttavia, pur avendo grandi possibilità finanziarie, manca di coesione politica e militare. Cina e Giappone hanno una grande influenza economica a livello mondiale ma ben poco appeal politico e non dispongono di capacità di proiezione militare al di là dell’Asia. La Russia ha un arsenale nucleare capace di devastare il mondo intero ma manca di potere economico, politico e culturale oltre l’ex Unione Sovietica. Brasile e India sognano ruoli globali ma esercitano una certa influenza solo sulle rispettive regioni e su alcuni paesi africani.
Il rigetto del multilateralismo, da parte dell’amministrazione Trump, segnala che gli Stati Uniti si stanno ritraendo dalla leadership internazionale. L’America non vuole più fare le regole che governano le interazioni militari, politiche ed economiche a livello mondiale. Washington al contrario cercherà un proprio vantaggio attraverso accordi bilaterali con i singoli paesi. Ciò sta creando nel mondo un vuoto di potere geo-politico e geo-economico. Si sta entrando in un’epoca di regionalismo: le incertezze inerenti a questa situazione stanno spronando alla creazione di blocchi regionali in varie parti del mondo. Le forze armate statunitensi rimangono le uniche con capacità globali. Ma questa supremazia militare non si traduce più in supremazia politica a livello mondiale o regionale. Gli ultimi interventi militari americani – vedi l’Afghanistan e l’Iraq – sono stati un fallimento.
Con il recedere dell’influenza americana, potenze regionali come India, Cina, Iran e Russia hanno cominciato a consolidare sistemi regionali centrati su di loro. Questo processo si accelererà sotto Trump ma è cominciato già da una decina di anni. Il disprezzo da parte dell’amministrazione Trump per istituzioni internazionali come il WTO e l’ONU, e per l’opinione sia di alleati come la Germania che di avversari strategici come la Cina, è un trend preoccupante. Segnala ai governi stranieri che non possono più contare sugli Stati Uniti per la loro sicurezza e che il diritto internazionale è carta straccia. Dunque potrebbe dare avvio a una corsa al riarmo su scala globale. Il dopo guerra fredda era cominciato nel 1990 quando la comunità internazionale si era raccolta per affermare che il nuovo ordine non avrebbe permesso a Stati grandi di usare la forza per annettere vicini più piccoli, come l’Iraq tentò di fare col Kuwait.
Gli anni iniziali del ventunesimo secolo hanno insegnato ai piccoli paesi una lezione diversa: per eliminare le minacce alla loro indipendenza o integrità territoriale da parte delle grandi potenze devono possedere la capacità di fare male – militarmente – al loro potenziale aggressore. Le Nazioni Unite non sono più in grado di garantire alcuna sicurezza a questi paesi, vedasi ad esempio ciò che è successo alla Serbia nel caso del Kosovo o all’Ucraina nel caso della Crimea. Mancando di armi nucleari, Iraq e Libia hanno visto i loro governi detronizzati e i loro leader brutalmente assassinati. La Corea del Nord, che possiede armi nucleari, non è stata attaccata. Alcune potenze regionali come Turchia, Iran, Russia e Cina, chiedono ai paesi vicini il rispetto di una loro sfera d’influenza. Di fatto, negando la sfera d’influenza universale che l’America asseriva di avere nel breve momento unipolare, dopo la fine della guerra fredda.
La diminuzione dell’influenza americana sta costringendo paesi prima dipendenti dalla protezione di Washington a cercare nuovi partner e ad aumentare le spese militari. In effetti le spese militari globali sono cresciute del 50% tra il 2001 ed il 2015. Per esempio, l’Arabia Saudita e gli altri paesi del Golfo stanno cercando di costruire nuovi rapporti con Cina, Europa, Russia e Turchia; hanno anche dato avvio ad aggressive campagne militari in paesi come Libia e Yemen. Iraq, Libano e Siria si stanno invece avvicinando all’Iran. L’Ucraina resta sospesa fra influenza euro-americana e russa. La Thailandia e le Filippine prendono le distanze dagli Stati Uniti e si avvicinano a Pechino. Al contrario, Vietnam e Birmania cercano la protezione americana contro il potente vicino cinese. Il Venezuela guarda a Russia e Cina come protettori da possibili politiche americane di cambio di regime.
Nel frattempo, la governance internazionale di commerci e investimenti diventa sempre più regionale, soprattutto dopo il fallimento degli accordi di Doha sul commercio globale. Eccone alcuni esempi: la Regional Economic Comprehensive Partnership guidata dalla Cina in Asia, l’Ecowas africana, l’Unione Europea in Europa, il Mercosur in Sudamerica, il Consiglio di Cooperazione del Golfo nella regione del Golfo Persico. I rapporti fra le stesse grandi potenze sono in movimento. L’interdipendenza economica fra Stati Uniti, Europa, Cina, India, Russia e Giappone è enorme. Commerciano e investono molto tra di loro; sono legati da catene di approvvigionamento globali. Eppure la tensione sta crescendo. Cina e Russia si sentono oggetto di un aggressivo containment da parte americana e fanno causa comune. Il Giappone si avvicina all’India in funzione anti-cinese. I rapporti fra la Russia e molti paesi europei sono ai minimi termini. Qui c’è in gioco molto: guerre commerciali che potrebbero distruggere l’economia globale sono ora facili da immaginare e conflitti armati potrebbero scoppiare facilmente fra Stati Uniti e Russia, Stati Uniti e Cina, Cina e Giappone e Cina e India.
La Prima Guerra mondiale e la Guerra del Peloponneso ci ricordano che basta una scintilla per dar fuoco alle polveri e che talvolta l’uomo è capace di entrare in guerra anche contro ogni razionalità. I rischi di conflitto che il mondo deve ora affrontare non sono però inevitabili. Le maggiori responsabilità di evitare catastrofi e costruire un nuovo ordine mondiale stanno negli Stati Uniti di Donald Trump. Gli americani hanno bisogno urgente di una conversazione nazionale sulla loro politica estera e sulle nuove realtà del potere mondiale. Questa conversazione non c’è stata durante la campagna elettorale del 2016. Deve però cominciare adesso.