La recente visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella Repubblica popolare cinese è stata la prima di un capo dello stato italiano in Cina dal 2010. Mattarella ha incontrato a Pechino il Presidente Xi Jinping che gli ha parlato del proprio impegno personale per ”promuovere un migliore rapporto bilaterale fra Cina e Italia, due civiltà millenarie che da sempre si affascinano e rispettano reciprocamente”. Mattarella, dal canto suo, ha parlato di “partenariato strategico” fra i due paesi ed ha assicurato Xi Jinping che gli investimenti produttivi cinesi troveranno nell’Italia una destinazione sicura. Nello stesso periodo, si è tenuta a Pechino la quarta edizione del Business Forum Italia – Cina. Mattarella era accompagnato a Pechino da una nutrita delegazione di imprenditori e dal sottosegretario allo sviluppo economico Scalfarotto. Nel corso della visita sono stati firmati accordi commerciali del valore di 5 miliardi di euro.
Il peso della partnership tra Cina e Italia è significativo; gli investimenti cinesi, nel nostro paese, sono pari a circa 20 miliardi verso uno stock complessivo di investimenti esteri inferiore ai 300 miliardi. I numeri sono vicini agli investimenti statunitensi nel nostro paese, anche se è all’interno della Ue che si realizzano i maggiori volumi di interscambio di investimenti. Oggi Pechino è presente nel capitale di campioni nazionali quali Banca Intesa, Eni, Telecom, Terna, Snam e Pirelli. Il senso del “partenariato strategico” sta quindi nella presenza economica corrente e nel grande potenziale di investimento della Cina. Il flusso di interscambi commerciali si è quintuplicato dai primi anni del secolo, di pari passo con la crescita economica cinese, sino a raggiungere i 50 miliardi di euro nel 2012. Tra i paesi della UE, l’Italia è oggi il quinto partner commerciale della Cina. I cinesi esportano da noi soprattutto elettronica, tessile ed autoveicoli e noi esportiamo soprattutto macchinari, prodotti chimici e farmaci. Il bilancio del Turismo è positivo: nel 2016 circa un milione e mezzo di cinesi ha visitato il nostro paese.
E’ chiaro che il denaro porta visibilità ed influenza ed ha quindi un significato strategico che va al di là della ricaduta economica. Secondo l’economista Andrea Goldstein di Nomisma, che nel saggio ”Capitalismo Rosso” ha analizzato gli investimenti cinesi in Italia, questi, accanto alle innegabili opportunità, comporteranno nel medio periodo un possibile riposizionamento geopolitico più equidistante – per l’Italia e l’Europa in generale – tra gli Stati Uniti e Cina. Questo processo potrebbe essere accelerato dall’attuale dirigenza americana, fautrice di una politica americo – centrica. Trump, considerando i rapporti economici internazionali alla stregua di buoni o cattivi affari per gli Stati Uniti, sta infatti riportando in alto mare le partnership economiche in Asia e nel continente americano. L’atteggiamento verso l’Europa, sul piano militare quanto economico, sembra quanto meno ambiguo.
Al di là dei rapporti economici, la conoscenza reciproca ed integrazione di due culture si basa molto sui flussi umani tra i paesi. In Italia vivono, secondo gli ultimi dati, 332mila immigrati cinesi concentrati soprattutto a Milano, Firenze, Roma e Prato. Hanno creato 56 mila imprese, soprattutto nei settori del commercio all’ingrosso, al dettaglio e della ristorazione. Si tratta ancora di comunità in parte chiuse, raccolte in quartieri ben identificati nelle nostre città: Via Sarpi a Milano, ad esempio, o Piazza Vittorio a Roma. Ma le nuove generazioni sono destinate ad integrarsi, in mancanza di un forte identitarismo culturale o religioso; sono in crescita gli studenti cinesi negli atenei italiani, oltre 8.000; oggi un laureato non comunitario su sei in Italia è cinese.
Gli italiani residenti in Cina sono piuttosto pochi, circa 10.000. Vivono perlopiù nelle metropoli, spinti dal dinamismo dell’economia cinese: Hong Kong, Pechino, Shangai e Canton. Si tratta di manager che vengono chiamati a lavorare in Cina da aziende multinazionali, con buone retribuzioni e spesso una conoscenza almeno elementare della lingua cinese; vi sono, però, anche tanti giovani connazionali poco qualificati che vedono la Cina come un nuovo eldorado in cui affermarsi, a fronte dell’asfittico mercato del lavoro italiano. Ma si tratta di una scommessa difficile, in mancanza di una nutrita comunità nazionale che aiuti nell’inserimento; alcuni ce la fanno ad adattarsi e molti tornano a casa dopo pochi mesi, vinti dalle barriere linguistiche e culturali.
Immagine sito Presidenza della Repubblica