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Somalia, la sfida del nuovo presidente Farmajo | Le priorità sono sicurezza e lotta alla corruzione

Mohamed Abdullahi detto Farmajo è il nuovo presidente della Somalia, dopo aver battuto la concorrenza di 23 candidati. Guiderà il paese per i prossimi quattro anni, fino al 2020. Ha dalla sua una solida esperienza politica e un doppio passaporto somalo-americano, che in tempi di Muslim Ban potrebbe tornare utile. Il neoletto presidente ha basato tutta la propria campagna elettorale sui due capisaldi della lotta alla corruzione e della sicurezza. Queste sono senz’altro le due maggiori emergenze oggi in Somalia.

Il bilancio del suo predecessore, Sheik Mohamud è tutt’altro che positivo. Ha guidato il paese dal 2012 e non è riuscito a portare apprezzabili miglioramenti al caos regnante nel paese. La Somalia è preda di una interminabile guerra civile che si protrae ormai dal 1991 e ha visto succedersi nel corso degli anni signori della guerra, con i loro territori ed eserciti privati alimentati da traffici illegali; nel corso degli ultimi anni si è poi rafforzata la presenza delle milizie jihadiste di Al Shabab.

Le elezioni dell’otto febbraio che hanno portato Farmajo al potere non sono state certo un esempio di trasparenza e democrazia. In primo luogo la farraginosità del sistema elettorale: i 135 clan in cui è divisa la popolazione somala hanno eletto 14.025 delegati; questi hanno scelto 275 membri del Parlamento e 54 senatori, responsabili  poi delle votazioni a scrutinio segreto per l’elezione del Presidente. Secondo Transparency International, la Somalia è il paese più corrotto al mondo. Ed il lungo processo elettorale è stato costellato da numerosi episodi di corruzione. Marqaati, una associazione somala che si occupa di monitorare il malaffare nel paese, stima che le elezioni abbiano mosso un giro di mazzette da 20 milioni di dollari. Si tratta di soldi anche provenienti dall’estero, con potenze regionali e globali che hanno finanziato più o meno sotto banco candidati e gruppi di potere locali nel tentativo di influenzare l’esito del voto. Si parla della Turchia in primo luogo, ma anche di Sudan, Etiopia e monarchie del Golfo.

Farmajo dovrà affrontare come prima emergenza la sicurezza nel paese. La più grave minaccia è oggi rappresentata da Al Shabab, sorta di filiale somala di Al Qaeda. I jihadisti, che in passato avevano stabilito una roccaforte nella capitale Mogadiscio, sono stati costretti di recente a tornare nella clandestinità; ma sono ancora numerosi gli attentati nella capitale e nel Sud somalo, dove Al Shabab si è riorganizzata ai confini con il Kenya. Il nuovo Presidente sarà affiancato dai militari di Amison, una missione militare Keniota e di altri paesi africani, che dal 2007 opera nel paese soprattutto nell’addestramento del debole esercito somalo. D’altro canto i militari stranieri sono visti con sospetto da molti somali come espressione delle mire espansionistiche dei paesi vicini; sono stati anche accusati di recente di trafficare sottobanco in zucchero e carbone con i jihadisti. E’ inoltre presente fin dai tempi di George W.Bush l’intelligence americana, la cui missione è il contrasto alle forze jihadiste.

Altro grave problema per Farmajo è la siccità che ha colpito dall’anno scorso la Somalia. Il nuovo Presidente dovrà chiedere aiuto alla comunità internazionale per contrastare le gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare di milioni di somali. A questa situazione precaria, si unisce l’ulteriore crisi del flusso migratorio costante dallo Yemen; migliaia di yemeniti sbarcano infatti in Somalia, in fuga dalla guerra civile nel loro paese natale che si affaccia sulla costa opposta del Golfo di Aden. E poi, appena insediato, Farmajo ha visto chiudersi per i suoi la frontiera americana. Trump ha incluso i somali nel suo Executive Order che congela per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti. Provvedimento bloccato dai giudici americani, ma al quale l’amministrazione Trump sta ancora lavorando.

 

Giuseppe Citrolo

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Giuseppe Citrolo
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