“Mio figlio è stato vittima di una campagna d’odio“. Queste le parole di Angelo D’Elisa, padre di Italo, il giovane ucciso a Vasto da Fabio Di Lello per vendicare la morte della moglie Roberta, investita dal giovane in un incidente del luglio scorso. “Hanno ucciso un morto dopo averlo emarginato e lasciato solo. Stava malissimo e la notte aveva gli incubi”.
Il papà della vittima prova a chiarire la posizione del figlio in un’intervista al quotidiano La Repubblica: “L’odio non porta a niente. Italo stava malissimo, aveva paura a uscire di casa. Non aveva più la patente e anzi l’auto non l’ha più nemmeno toccata. Era in uno stato di shock pazzesco“.
“Si metteva a letto e dopo due ore si svegliava di soprassalto con quell’immagine negli occhi – racconta il padre – La rivedeva tutte le notti quella donna. I medici mi dicevano di aiutarlo perché rischiava di chiudersi definitivamente in se stesso. Nessuno può sapere cosa si prova se non lo si vive”.
A Vasto c’era chi diceva che Italo, dopo l’incidente, facesse impennate davanti a Fabio: “Viveva un inferno” assicura il padre. “Abbiamo scritto subito una lettera di condoglianze con il nostro dolore per quello che era accaduto. Ma non abbiamo mai ricevuto risposta”.
Contro Italo in breve tempo sono spuntate “pagine Facebook, siti internet, fiaccolate”. “Neanche se mio figlio fosse stato un killer di professione. Era un bravo ragazzo di 20 anni, non un super ricercato di mafia”, dichiara il padre che non si dà pace anche per la “campagna d’odio” lanciato contro il figlio.
“Lo hanno lasciato solo e si sono divertiti alle sue spalle sui social network – continua Angelo D’Elisa – Il sito in cui lo attaccavano con parole orribili aveva 1500 adesioni. Tantissime per un paese come Vasto”. L’unica cosa che dovevano fare Italo e Fabio, sarebbe stata quella di “incontrarsi, abbracciarsi, parlarsi e piangere assieme. Magari sarebbero diventati amici“.
“Fabio Di Lello ha commesso un atto osceno” sottolinea Angelo. “Ho sempre avuto fiducia nella magistratura. Vivo in un paese civile ma certo sentivo certe voci in giro… C’era chi mi diceva che dovevo difendermi perché avrebbe fatto quello che poi ha fatto davvero”.
“A Italo ho sempre detto: coraggio, passerà. In ospedale, dopo l’incidente mi disse: te lo giuro non correvo, non sono scappato. Ho chiamato subito i soccorsi” conclude Angelo, che il figlio lo ricorda così: “L’ultima volta l’ho visto a pranzo. È uscito dicendo: vado a fare un giro in bicicletta che è una bella giornata. Provo a svagarmi un po’. Ma non è più tornato”.