Dopo mesi di indagini, la Squadra mobile di Milano è riuscita a risalire ai due serbi di 30 e 29 anni, ritenuti responsabili della rapina consumata lo scorso 21 settembre 2016 presso la gioielleria “Eleuteri” di via Sant’Andrea, nel cuore del Quadrilatero della moda.
Dall’attività investigativa è emerso che i due avevano agito seguendo modalità analoghe a quelle dei “Pink Panthers”, ovvero un gruppo di rapinatori che ha colpito gioiellerie delle maggiori città europee. Il giorno della rapina i banditi erano tre, i due che hanno materialmente immobilizzato la dipendente della gioielleria Eleuteri e che hanno svaligiato la cassaforte, e un ‘palo’ che si era già occupato del sopralluogo 4 giorni prima.
Gli investigatori sono riusciti ad arrestare quest’ultimo il 23 novembre scorso a Brescia, dove era ritornato dopo essere scappato in Serbia poche ore dopo il colpo. Uros Ivkovic, di 30 anni, ha piccoli precedenti in Italia e precedenti per rapina in Serbia. L’altro bandito individuato è Aleksander Sarac, di 29 anni, al momento ancora in Serbia in attesa del mandato di arresto internazionale, incastrato da un’impronta lasciata sulla porta che dava accesso al locale della cassaforte.
Il terzo complice, che nel video indossa un cappellino e una borsa a tracolla, non è stato ancora rintracciato anche se gli investigatori della Squadra mobile hanno elementi importanti su di lui: “Era un gruppo molto preparato, hanno studiato il colpo con attenzione”, ha spiegato Lorenzo Bucossi, capo della Mobile milanese.
Sette ore dopo la rapina erano già al confine tra Croazia e Serbia. Sarebbe stato l’ingresso nel paese non Ue che ha permesso all’Interpol di risalire all’identità delle persone a bordo dell’auto usata per la fuga”. Sulla vettura c’erano Ivkovic e Sarac, il complice ha preso una strada diversa.
“La modalità è quella usata dalla banda dei Pink Panthers – ha spiegato Luca Izzo, capo della sezione antirapine – È molto probabile che facciano parte del gruppo che ha commesso rapine in tutta Europa. In questo caso avevano ottenuto un bottino di un milione di euro“.
Bucossi conclude: “Nonostante avessero studiato tutto nei minimi dettagli, hanno avuto la sfortuna di trovare una commessa che conosceva il serbo e che ha capito una parola che si sono scambiati. ‘Aspetta’ detto da uno di loro. Questa indicazione ci ha permesso di stringere il cerchio”.