C’è una nuova foto del killer del night club ‘Reina’ di Istanbul. La foto è stata diffusa dall’agenzia di stampa Dogan e si tratta di un frame ripreso dalla telecamera di sorveglianza. Si tratta di un uomo con i capelli neri, senza barba e con giubbotto scuro; nulla a che fare con quello mostrato nelle ultime ore dei media che aveva la barba.
E adesso si fa avanti l’ipotesi che l’uomo possa provenire dallo Xinjiang, nella Cina nordoccidentale, dove risiede la comunità degli uiguri, una folta minoranza musulmana e turcofona. Le indagini seguono inoltre la pista secondo cui potrebbe essere originario dell’Asia centrale (Uzbekistan o Kirghizistan), come alcuni dei responsabili della strage di fine giugno all’aeroporto Ataturk di Istanbul. Il ministero degli Esteri kirghizo ha fatto sapere che sta indagando a sua volta su questa possibilità.
“Continuando le benedette operazioni che lo Stato islamico sta conducendo contro il protettore della croce, la Turchia, un eroico soldato del califfato ha colpito una delle più famose discoteche in cui i cristiani celebrano la loro festività apostata“. Così l’agenzia di stampa “Amaq” del Califfato ha rivendicato della strage di Capodanno a Istanbul. La polizia ha fermato otto persone sospettate di essere coinvolte nell’attacco, hanno riferito i media turchi.
Al night club “Reina” sono morte 39 persone. L’attentatore, secondo le autorità turche, proviene da una nazione asiatica centrale, presumibilmente dall’Uzbekistan o dal Kirghizistan. Secondo gli investigatori il sospettato ha agito da solo ma non si esclude che avesse dei complici al di fuori del locale.
L’uomo ha prima ucciso un poliziotto e un civile fuori dal locale, poi è entrato nella sala dove si trovavano circa 500-600 persone all’1:15 dell’1 gennaio (ora locale) e ha iniziato a fare fuoco sulla folla. Secondo la tv NTV l’attentatore ha sparato tra i 120 e i 180 colpi di kalashinikov in sette minuti.
Un turista italiano, sfuggito alla strage, Maximilien, intervistato da Afp, ha dichiarato: “Eravamo venuti per divertirci ma tutto si è trasformato improvvisamente in un caos e in una notte di orrore”. Il primo ministro turco Binali Yildirim ha reso noto che l’attentatore è ancora in fuga e ha smentito le voci iniziali secondo cui l’uomo fosse travestito da Babbo Natale.
L’assalitore “ha abbandonato l’arma ed è fuggito dalla scena. È un terrorista armato“, ha aggiunto il premier. Il ministro degli Interni Suleyman Soylu ha aggiunto che il sospettato è giunto sul luogo con il fucile nascosto sotto il cappotto ma nelle immagini riprese mostra altri indumenti.
L’agenzia di stato Anadolu, citando fonti del ministero della Giustizia, ha reso noto che 38 vittime sono state identificate, 27 stranieri (tre giordani, tre libanesi, tre iracheni, un tunisino e la moglie franco-tunisina, due marocchini, due indiani, diversi sauditi, un cittadino dei Kuwait, un libico, un israeliano, un turco con cittadinanza belga e un canadese) e 11 turchi.
Al Reina di Istanbul c’era anche un gruppo di 5 giovani italiani, salvi dopo essersi buttati a terra per schivare i colpi sparati a mezza altezza. Si tratta di tre modenesi, un palermitano e una ragazza bresciana, tutti in Turchia per motivi di lavoro, che hanno raccontato di aver visto “almeno due killer” in azione.
Intervistato da “Il resto del Carlino”, uno dei cinque giovani racconta: “Stavamo mangiando quando sono stati esplosi i primi colpi ed è scattato il panico. Ci siamo gettati a terra: la sola cosa che abbiamo capito è che gli assalitori sparavano sulla folla per uccidere”.
Il giovane sostiene che gli assalitori fossero “almeno due”. “Per quanto abbiamo potuto capire, mentre uno apriva il fuoco dalla scalinata della pista da ballo, ce n’era un secondo che sparava al piano di sopra, dove si trova il ristorante giapponese. Ma tutto è durato solo una frazione di secondo”.
Il giovane racconta anche che “una di noi, una ragazza di Brescia, è stata travolta dalla folla. Ha preso una botta in testa e si è ferita all’arcata sopracciliare: poca cosa, in fin dei conti. Siamo sotto shock e abbiamo fretta di rientrare in Italia per allontanarci anche fisicamente da una città in preda alla paura. Abbiamo resistito il più a lungo possibile perché il lavoro è importantissimo, ma questa cosa ci ha segnati”.