La riforma dell’editoria è legge. La Camera ha approvato definitivamente il testo con 275 sì, 80 voti contrari e 32 astenuti. Il provvedimento contiene diverse deleghe e toccherà al governo di integrare i criteri direttivi stabiliti dal Parlamento. Diverse le novità, tra queste il tetto agli stipendi Rai a 240mila euro annui.
Viene inoltre istituito il Fondo per il pluralismo e l’innovazione presso il ministero dell’Economia e viene attribuita al governo la delega per ridefinire la disciplina sui contributi pubblici, e le norme sui prepensionamenti dei giornalisti e sul Consiglio dell’Ordine.
Il fondo è destinato anche alle radio e tv locali, oltre alle imprese editoriali costituite da cooperative e istituti no profit. Il Fondo sarà alimentato dalle risorse per il sostegno all’editoria quotidiana e periodica, e per le emittenti locali. È inoltre previsto l’uso di una quota, fino a 100 milioni di euro annui per il periodo 2016-2018, delle eventuali maggiori entrate da canone Rai.
Saranno 60 i componenti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e viene garantita la rappresentanza alle minoranze linguistiche. Il ddl, inoltre, delega il governo ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge criteri più stringenti per il ricorso ai prepensionamenti dei giornalisti, a rivedere l’attuale procedura sugli stati di crisi.
I quotidiani online devono pubblicare prevalentemente online, essere regolarmente registrati nella cancelleria di un tribunale, produrre soprattutto informazione, aggiornata quotidianamente, avere un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei giornalisti.
Quanto alla Rai, la concessione del servizio pubblico durerà dieci anni e ci dovrà sempre essere la consultazione pubblica sugli obblighi di servizio per il rinnovo. Sarà affidata con decreto del presidente del Consiglio su proposta del Mise di concerto con l’Economia.
L’esecutivo, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, dovrà ridefinire la platea dei beneficiari dei contributi pubblici: tra questi, oltre alle tv locali, le cooperative giornalistiche e gli enti senza fini di lucro, quotidiani e periodici delle minoranze linguistiche, imprese ed enti che editano periodici per non vedenti o ipovedenti, associazioni di consumatori, imprese editrici di quotidiani e periodici diffusi all’estero.
Saranno esclusi invece i giornali di partito e le imprese editrici di quotidiani e periodici che fanno capo a gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate. Ulteriore requisito richiesto sarà l’edizione della testata in formato digitale, anche in parallelo con la carta.
L’ammontare del contributo pubblico dipenderà dal numero di copie annue vendute e dagli utenti unici raggiunti, oltre che dal numero di giornalisti assunti. Sono previsti infine dei criteri ‘premiali’ per quelle imprese che assumono a tempo indeterminato gli under 35 e vengono fissati limiti massimi al contributo erogabile.
Infine capitolo liberalizzazioni. Il governo dovrà incentivare gli investimenti nell’innovazione digitale, assegnare finanziamenti a progetti innovativi, liberalizzare la vendita dei prodotti editoriali e gli orari di apertura dei punti vendita, incentivare sul piano fiscale gli investimenti pubblicitari su quotidiani, periodici, radio e tv locali.