Duecentosei miliardi di euro, pari al 12,9% del Pil. Questa è l’economia sommersa italiana sommata alle attività illegali certificata dall’Istat, che al tema ha dedicato un seminario aggiornando i dati sul 2013 diffusi per la prima volta a dicembre scorso.
Le percentuali registrate appaiono quindi in crescita (12,7% nel 2012 e 12,4% nel 2011). “C’è stata una tendenza all’aumento nel triennio considerato e ricordiamoci che il 2012 e il 2013 sono stati anni di forte crisi, che può avere pesato”, spiega il direttore centrale della contabilità nazionale Istat, Gian Paolo Oneto.
“L’Istituto sta procedendo ad esplorare la fattibilità di un conto satellite dell’economia illegale“, ha spiegato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva. “L’obiettivo sta – spiega Alleva – nel raggiungere una migliore conoscenza del fenomeno”, anche per mettere a punto “politiche di contrasto”.
Il conto sarebbe una novità assoluta, perché, chiarisce il direttore centrale della contabilità nazionale Gian Paolo Oneto, “oggi non esiste in letteratura né in altri paesi, se non a livello molto sperimentale. Dobbiamo però capire se si può fare“.
“Lo scopo sarebbe quello di cercare di capire meglio come funziona l’economia illegale, la produzione, come si trasferisce sul consumo, la relazione tra le imprese, se ci sono investimenti”. Si tratta, sottolinea Oneto, “di una scommessa, di un’impresa complicata, per ora si sta ragionando sulla possibilità di arrivare a uno schema”.