Le reazioni di Erdogan al fallito colpo di stato del 15 luglio stanno rapidamente consumando il credito che il leader turco si era costruito presso gli stati occidentali, con il suo sostegno all’iniziativa militare americana in Siria e per il ruolo cruciale al contenimento del flusso dei migranti per l’Egeo.
In queste ultime settimane le purghe di massa, tra arresti ed esoneri professionali, hanno coinvolto migliaia di persone non solo tra i militari ma anche nelle sedi dei giornali, nella corti di giustizia, in scuole ed atenei. Erdogan, nell’oceanica manifestazione sul Bosforo del 7 agosto, ha riaffermato con forza il diritto della Turchia di ripristinare la pena di morte con regolare iter parlamentare, ben sapendo che questa decisione allontanerebbe qualsiasi prospettiva d’ingresso nella Unione Europea. La Turchia continua inoltre a martellare gli Stati Uniti con la richiesta di estradizione di Fethullah Gulen, prima mentore ed adesso nemico giurato e vera ossessione per Erdogan. Una richiesta che entra in tutti i comizi e discorsi dei filo governativi e che sta seminando presso i turchi un diffuso sentimento antiamericano.
Mentre da ambienti politici di più di un paese europeo – Austria e Danimarca sono gli esempi più recenti – si stigmatizza l’accelerazione autoritaria del governo turco, Erdogan risponde con toni piccati: ha criticato la mancata trasmissione di un suo intervento ad una manifestazione in suo sostegno in Germania e ha liquidato le inchieste giudiziarie sul figlio in Italia, invitando la nostra magistratura ad occuparsi piuttosto di mafia.
Autorevoli commentatori europei invitano Bruxelles e cancellerie continentali alla calma. Ecco alcuni passaggi significativi pubblicati di recente dalla testata britannica Guardian: ”Etichettare Erdogan come un dittatore responsabile di tutti gli errori turchi sarebbe stupido e controproduttivo”, ricordando che il leader riscuote il consenso della maggioranza del popolo turco, che ha migliorato le condizioni del suo paese e giocato un ruolo importante nella terribile vicenda siriana. “E’ necessario adesso rifondare le relazioni che si sono degradate in modo così vistoso. Innanzitutto, Erdogan dovrebbe calmarsi, perseguire i veri responsabili del colpo di stato in modo ordinato e legale, piuttosto che sfruttare la situazione per colpire oppositori che niente hanno a che vedere con il sollevamento militare”. L’articolo prosegue con una ‘lista dei desideri” europei, che include il riconoscimento dell’opposizione politica curda; il ritiro di qualsiasi proposta per la pena di morte e la fine delle persecuzioni per gli oppositori, giornalisti, accademici o giuristi che siano.
Ma queste non sembrano affatto le intenzioni di Erdogan, che non appare minimamente intenzionato a lasciarsi dettare l’agenda politica dall’Europa o dall’America. Sa che gli occidentali hanno bisogno di lui, sa che il ruolo giocato dal suo paese nel conflitto siriano è importante per gli Stati Uniti e che Germania e paesi limitrofi contano sulla diga turca contro il dilagare dei profughi dalla Siria e dall’Asia. Vuole quindi costruire i rapporti con gli alleati occidentali su un piano di parità mettendo sul tavolo i suoi punti di discussione, quali l’estradizione di Gulen, l’abolizione del visto d’ingresso in Europa e, soprattutto, l’accettazione internazionale della sua idea di Turchia, islamica e con un forte potere centrale.
E così, con una vicinanza temporale che invita a collegare i fatti, ecco che le autorità europee lasciano filtrare la possibilità di un “piano b” per i migranti dell’Egeo, arretrando la linea di contenimento al confine settentrionale della Grecia; intanto, Erdogan vola a Mosca da Putin per riaprire il dialogo con la Russia, dopo il gelo seguito all’abbattimento di un jet russo al confine con la Siria, e le scuse ufficiali lungamente negate dai turchi.
In sintesi, la politica estera turca è a un bivio: l’Europa valuta il da farsi, dovessero i rapporti con la Turchia incrinarsi irreparabilmente; la Turchia traccia un possibile diverso quadro delle sue alleanze, temendo che la rottura con l’Europa possa avere pesanti ripercussioni economiche. E le aperture turche a Putin sono senz’altro una preoccupazione per gli americani, che già in passato hanno fatto pressione sull’Europa per ammorbidire i toni del dialogo con i turchi. E forse Obama, o il suo successore, potrebbero riflettere un po’ più a fondo sul dossier Gulen.