La guarda di finanza di Montegiordano (Cosenza) ha denunciato 49 persone a seguito di un’inchiesta che ha svelato un complesso sistema di caporalato che sfruttava lavoratori immigrati.
L’inchiesta ha fatto luce sulle condizioni della vita e di lavoro degli stranieri, che erano costretti a lavorare senza alcune protezione e a dormire in stalle e porcili in condizioni igieniche degradanti. Dopo il reclutamento, i lavoratori, pagati in nero con una retribuzione irrisoria per gli interminabili turni di lavoro ai quali erano sottoposti, venivano ammassati come animali nelle stalle e i loro documenti di identità venivano consegnati al “caporale” che li chiudeva a chiave in armadi di metallo. Nessuno, tranne lui, poteva aprirli. Agli operai non venivano consegnati nemmeno guanti o visiere protettive per lavorare.
La figura del “caporale” è stata identificata nella persona di un uomo pakistano ritenuto vero e proprio punto di riferimento nella piana di Sibari per quegli imprenditori agricoli che necessitano di manodopera illegale e a basso costo. Secondo gli inquirenti l’uomo intratteneva rapporti con due persone affiliate a una famiglia ‘ndranghetista locale, con 19 immigrati irregolari e un latitante.
Dall’inchiesta è emerso che il pakistano avrebbe fruttato ben 250.000 dai proventi dello sfruttamento del lavoro in nero in poco più di un anno. Parte del denaro era destinato alle cosiddette “bacinelle” delle organizzazioni criminali. La rimanente parte dei guadagni dell’attività di intermediazione veniva trasferita in Pakistan attraverso servizi di money transfer.
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povera gente occorre avere più umanità per i migranti