Che “orrore” calcistico, l’affare dell’estate. Diciamolo francamente, Higuain alla Juve non si può sentire, fermo restando che il richiamo dei soldi e delle ambizioni personali è legittimo.
Da tempo le “bandiere” del calcio sono tramontate. Totti alla Roma è uno degli ultimi esempi, dopo gli addii di Zanetti (Inter) e Maldini (Milan) e se vogliamo Del Piero (Juve). Il calcio è sempre più business – e difatti l’Italia è sempre più lontana dall’elite – e sempre meno maglia.
Lo so da tempo che è così, mi devo rassegnare ma avendo vissuto anche l’epoca di Rivera e Mazzola faccio fatica.
Già all’inizio dell’estate ero inorridito per il trasferimento di Pjanic dalla Roma alla Juve. Non tanto per il trasferimento in sé (ne ho visti di peggio) ma per le frasi del giocatore subito dopo l’affare. “Finalmente alla Juve”, ha detto più o meno letteralmente il centrocampista. Ma come finalmente? Mi ha fatto lo stesso effetto dello stridio di un gessetto sulla lavagna (e non sono né romanista né juventino).
Ma Higuain alla Juve è troppo. Perché il Pipita non è stato solo un illustre calciatore azzurro, è stato il capocannoniere, il condottiero, l’uomo che ha fatto sognare una città, l’uomo che con il Napoli ha riscritto il record di Nordahl (un record che sembrava utopia pensare di superare). E con i sogni non si scherza, specialmente a Napoli. Come se domani, stanco di La Russa e Gasparri, Berlusconi annunciasse in pompa magna il suo passaggio a leader del Partito Comunista.
Tutto legittimo, per carità, però c’è un limite a tutto. Fosse andato al Bayern, alla Fiorentina, al Barcellona o chissà dove avremmo parlato di “core ingrato” ma nulla di più. Così no. Forse per questo morirò povero.