Aterosclerosi e il diabete di tipo 2 sono solo due tra le più gravi patologie che un infiammazione cronica dell’intestino può causare. Curare quindi l’alimentazione diventa una priorità assoluta per evitare che i batteri possano aggredire l’intestino. Un team di studiosi del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’IRCCS dell’Ospedale San Raffaele, una delle diciotto strutture d’eccellenza del team Ospedaliero San Donato, in collaborazione con l’Università degli Studi dell’Insubria, ha lavorato proprio su questo aspetto.
Lo studio è stato appena pubblicato su Scientific Report dal team di Nature. A coordinare lo studio sono stati i professori dell’Università Vita-Salute San Raffaele Massimo Clementi e Roberto Burioni e il dottor Filippo Canducci, ricercatore dell’Università dell’Insubria.
La dieta occidentale, ormai è noto, si distingue per il suo alto apporto di grassi e per essere povera di fibre. Il rischio è quindi quello di modificare la flora batterica, favorendo lo sviluppo di popolazioni di batteri a discapito di altre. Certi batteri però, se presenti in numero maggiore al normale, attivano l’apparato immunitario dell’organismo, dando così il via al processo di infiammazione che favorisce l’insorgenza di patologie del metabolismo e cardiovascolari come l’aterosclerosi.
L’obiettivo è stato quindi quello di rendere l’organismo immune a questi batteri in sovrannumero, aiutandolo a generare quei globuli bianchi che saranno capaci di modulare la risposta immunitaria e ridurre così l’infiammazione. Filippo Canducci: spiega: “Questo risultato apre una via di studio davvero nuova e raffigura il primo passo verso la messa a punto di vaccini volti a diminuire gli effetti nocive di una alimentazione non corretta”.
“Abbiamo somministrato ai topi una proteina, chiamata ompK36, che è di sicuro presente sulla superficie di certi tipi di batteri. Questa proteina di solito regola il passaggio di molecole dall’interno all’esterno dei batteri e viene riconosciuta dal nostro apparato immunitario – spiega Carducci – Nel nostro lavoro abbiamo scoperto che è in grado di attivare una risposta nelle cellule immunitarie, inducendole a generare un’altra proteina, chiamata apoE. Quest’ultima ha l’obiettivo di trasportare i grassi, ma è anche un poderoso antinfiammatorio. Dunque con il vaccino la produzione di apoE accresce e questo fa abbassare lo stato infiammatorio nell’intestino, nel fegato e nella placca aterosclerotica”.