Il tribunale di Palermo ha condannato tre cittadini nigeriani che operavano all’interno del mercato di Ballarò, a Palermo.
Sono tre le richieste di condanne e tutte abbastanza pesanti: tentato omicidio, rapina, lesioni, spaccio di droga ed estorsione
Dodici anni e 4 mesi anni ad Austine Johnbull, considerato il capo della banda, 10 anni e 8 mesi a Vitanus Emetuwa, 10 anni e 6 mesi a Nosa Inofogha. I reati per cui sono arrivate le condanne sono stati commessi, così dicono i giudici, con l’aggravante dell’associazione mafiosa.
Si tratterebbe, dunque, di mafia nigeriana che si muoveva nel popolare rione di Ballarò, anche se in qualche modo dipendente alla mafia locale. I boss africani avrebbero portato nel capoluogo siciliano le regole dell’organizzazione Black Axe, l’ascia nera, nata negli anni ’70 in Nigeria. All’inizio era nata come una confraternita religiosa all’interno dell’Università di Benin City, poi divenne una banda criminale con regole molto rigide, riti di affiliazione e molto violenta.
Le indagini sono cominciate già alcuni mesi fa, dopo una violenta aggressione ad altri nigeriani che furono pure sfregiati nel volto. Secondo il Dirigente della Consap, Igor Gelarda, “l’innesto delle mafie straniere in Italia è, generalmente, una bomba ad orologeria per tutto ciò che può comportare. Ma nelle zone dove storicamente la mafia è forte questo innesto può diventare ancora più pericoloso. I “picciotti” nigeriani, infatti, oltre a gestire in maniera molto violenta i loro affari, con ingenti guadagni dallo sfruttamento della prostituzione, hanno anche accordi con la mafia locale. Era stato già affermato da alcuni boss che i Nigeriani sono “rispettosi” e “immagazzinano”, cioè nascondono droga in un quartiere che, di fatto, è come se fosse una città autonoma. E il problema sta proprio nel fatto che per sopperire alla carenza di manovalanza, falcidiata dagli arresti e dalle condanne, la mafia potrebbe aver trovato qui un nuovo terreno fertile dove “investire” per il suo futuro e controllare porzioni di territorio”.
“Il centro storico di Palermo, con in testa Ballarò, proprio grazie a questa intercultura della delinquenza è una polveriera – avverte Gelarda – che potrebbe anche non scoppiare in maniera fragorosa. Lo Stato deve tornare in queste zone di Palermo e non solo con le fiaccolate dell’amicizia e dell’intercultura. Ma con interventi seri per riaccaparrare al bene queste zone”.