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Omicidio Yara, Bossetti condannato all’ergastolo |

Massimo Bossetti è stato condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. Questa la decisione dei giudici del Tribunale di Bergamo, dopo ore di camera di consiglio, annunciata alle ore 20.37 del 1 luglio.

A seguito della sentenza Bossetti è stato privato della patria potestà, dovrà saldare tutte le spese processuali e risarcirà 400 mila euro ad entrambi i genitori di Yara Gambirasio, 150 mila ai fratelli.

Non è stata accolta, invece, la richiesta del pubblico ministero, Letizia Ruggeri, di porlo in stato di isolamento. Bossetti (rimasto impassibile durante la pronuncia del verdetto) è stato assolto, invece, dall’accusa di calunnia nei confronti di un proprio collega.

I legali di Bossetti: “Non sappiamo quando incontreremo Bossetti. Siamo amareggiati: la convinzione della sua innocenza è forte, anche lui era fiducioso, ha urlato “Non è giusto”. Queste 45 udienze sono state solo un processo indiziario, senza fornire prove decisive”.

I legali non si tirano indietro: “Dare verdetti ora è prematuro: vige la presunzione di non colpevolezza. Attendiamo le motivazioni per lavorare all’appello, non possiamo fare ulteriori previsioni. Ci chiediamo come sia stata usata la prova scientifica del Dna: se è stata usata male bisogna assumersi la responsabilità di ciò”.

Le parole della madre di Yara, invece, sono durissime: “Ora sappiamo chi è stato, anche se siamo consapevoli che Yara non ce la riporterà indietro nessuno”.

Il procuratore vicario di Bergamo: “Se una persona commette un omicidio di questo tipo senza attenuanti, questa è la pena prevista. É stata decisiva la prova scientifica: il dna o c’è o non c’è; purtroppo non si è potuto ripetere perché non c’era più materiale da esaminare; l’unica soddisfazione è che dopo tanti sforzi si sia ottenuto un risultato. Aspettiamo le motivazioni dei giudici”.

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Yara Gambirasio è scomparsa il 26 novembre del 2010, a poche centinaia di metri da casa sua, mentre rientrava dalla palestra di Brembate di Sopra dove si allenava. Dopo tre mesi venne trovato il cadavere e i genitori Fulvio e Maura iniziarono la loro battaglia per avere giustizia.

Il presunto colpevole venne trovato in Massimo Bossetti, muratore di 45 anni, sposato e padre di tre figli, per il quale, dopo due anni di carcere (arrestato il 16 giugno del 2014) e uno di processo, il pm Letizia Ruggeri ha chiesto l’ergastolo e sei mesi d’isolamento diurno.

Ad incastrarlo, secondo l’accusa, il dna, che rappresenta “il faro dell’inchiesta“, trovato sul corpo della vittima; per il pm vi è “un corollario significativo” di indizi caratterizzati da “gravità, precisione e concordanza”.
E poi ancora i tabulati telefonici dell’imputato e le immagini dell’autocarro ripreso dalle telecamere di sorveglianza della zona, le fibre sul cadavere compatibili con quelle dei sedili del Fiat Daily del muratore.

Accuse sempre resinte da Bossetti che in più di un’occasione si è dichiarato ‘innocente’ e dai suoi difensori, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, che parlano di un “processo in cui sono di più le anomalie dei marcatori” del Dna, test che “non ha fugato i dubbi, anzi, li ha alimentati”.

Per la difesa, delle prove a carico del muratore rimane soltanto “metà Dna e forse anche contaminato”, perché “mai il signor Bossetti è potuto intervenire durante gli accertamenti e non possiamo accontentarci di un atto di fede”. Il collegio difensivo, inoltre, ha sostenuto che il furgone ripreso dalle telecamere di sorveglianza delle aziende di Brembate vicine al centro sportivo da cui scomparve Yara, non appartiene al muratore e qualora il veicolo fosse di Bossetti, il muratore, quel 26 novembre del 2010, sarebbe passato un quarto d’ora prima rispetto a quando un testimone, che era andato a prendere il figlio dalla ginnastica, vide la tredicenne che si dirigeva verso la porta della palestra.

Stamattina, prima della Camera di Consiglio, l’imputato aveva reso le ultime dichiarazioni spontanee dichiarandosi ancora una volta innocente.

Oggi il verdetto e, per il momento, la parola fine.

Denise Marfia

Il giornalismo è passione rimasta intatta dopo oltre 16 anni di lavoro. 'Nata' giornalisticamente in TV, ho collaborato con diversi quotidiani e radio. Ho curato uffici stampa della pubblica amministrazione e di enti. Lavoro presso l'Istituto Superiore di Giornalismo. Settore di competenza: cronaca nera, politica e sportiva.

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