Domenica 26 giugno gli spagnoli saranno chiamati alle urne per le elezioni nazionali. Questo nuovo voto cade a soli sei mesi di distanza dalle ultime consultazioni del 20 dicembre. In questi mesi il paese è stato governato da un esecutivo di emergenza guidato da Mariano Rajoy, per il disbrigo degli affari ordinari. Infatti, dopo che le elezioni di dicembre avevano consegnato ai popolari di Rajoy la maggioranza relativa, inutili sono stati i tentativi – dei popolari prima, del leader socialista Pedro Sanchez poi – di formare un’alleanza di Governo.
Le elezioni di dicembre hanno infatti consegnato al paese il Parlamento più frammentato della storia recente. I popolari di Rajoy si sono confermati primo partito con il 35% dei seggi ma hanno perduto la maggioranza assoluta che detenevano dal 2011. Anche il partito socialista è arretrato vistosamente, con il 27% dei seggi, il suo peggiore risultato di sempre. I voti persi dai partiti tradizionali sono confluiti nelle nuove formazioni nate dalla protesta popolare: Podemos (sinistra) ha ottenuto il 22% dei seggi e Ciudadanos (liberal) il 13%.
Due i fattori che hanno portato al vistoso successo nazionale di Podemos e Ciudadanos: da una parte, la caduta dell’economia spagnola, investita dalla crisi finanziaria internazionale e le conseguenti politiche di austerità imposte da Bruxelles a Rajoy; dall’altra l’ampio scandalo scoppiato alla fine del 2014 per numerosi casi di corruzione; sono finite in cella 51 persone, incluse personalità pubbliche di primo piano quali Jordi Pujol, presidente catalano per decenni, Francisco Granado, ministro chiave nella regione madrilena e Jose Villa, figura di spicco nel mondo sindacale. L’ondata di arresti ha investito in particolare il Partito Popolare, portando Rajoy a scusarsi “a nome del Partito Popolare davanti a tutti gli spagnoli”.
Economia, corruzione e questione catalana sono ancora una volta i temi chiave della campagna elettorale. Un recente dibattito televisivo ha impegnato esponenti dei quattro maggiori partiti nazionali insieme a tre formazioni regionali, le catalane ERC e Convergencia ed il Partito Nazionalista Basco, che detengono insieme il 7% dei seggi in Parlamento.
Sono state due ore di accuse incrociate che lasciano poco spazio ad aspettative di alleanze post–elettorali. La questioni regionali, quella catalana in particolare, sono state al centro del dibattito: le formazioni locali hanno garantito appoggio soltanto a chi si impegnerà a rispettare il bisogno di maggiore autonomia regionale. I popolari hanno reiterato la loro posizione in difesa di una Spagna unita, in questo in sostanziale accordo con Ciudadanos. I socialisti hanno insistito sulla loro proposta di riforma costituzionale che riconosca uno status particolare alla Catalogna, mentre Podemos appoggia le istanze di autodeterminazione del popolo catalano, anche se è a favore dell’unità degli spagnoli. Divergenze sono emerse anche sulle politiche economiche del governo, ove le posizioni di austerità del Popolari trovano la netta contrarietà di Podemos.
Qualche tentativo di ricucire si è comunque visto: i Popolari hanno proposto un’alleanza a Socialisti e Ciudadanos, sulla base dei sondaggi che li vedrebbero di nuovo in testa nelle preferenze; da parte sua Podemos ha fatto una simile proposta ai Socialisti. Si tratta però di opzioni già discusse dopo il 20 dicembre e che hanno portato in questi mesi ad un nulla di fatto.