Secondo la Cassazione, gli indizi raccolti in questi anni sul delitto di Garlasco portano alla consapevolezza della “colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio”. Nelle motivazioni della sentenza che condanna l’ex fidanzato di Chiara Poggi a 16 anni, ciascun indizio si integra “perfettamente con gli altri”.
Il movente specifico non è stato individuato, ma ciò “non incide in alcun modo sul complessivo quadro indiziario, né appare necessario individuarlo nel caso di un omicidio d’impeto Dalle modalità del fatto si ricava il generico interesse a commettere il reato, riconducibile ad una violenta reazione emotiva nell’ambito dei più intimi rapporti tra i due fidanzati“.
Secondo la Suprema Corte, la Poggi è stata uccisa da una “persona conosciuta, arrivata in bicicletta”, e che lei stessa ha fatto entrare in casa. Successivamente, la vittima è stata colpita da un “rapido susseguirsi di colpi di martello al capo, sferrati all’ingresso dell’abitazione con rabbia ed emotività”.
Alberto Stasi “ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine nella finestra temporale compatibile”. Il giovane ha “reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata, sostenendo di aver attraversato di corsa i diversi locali della villetta per cercare Chiara”.
“Sulle sue scarpe tuttavia non è stata rinvenuta traccia di residui ematici, né le macchie di sangue sul pavimento sono risultate modificate dal suo passaggio”. La Cassazione sottolinea però che l’andamento delle indagini sull’omicidio di Chiara Poggi è stato “senz’altro non limpido, caratterizzato anche da errori e superficialità”.