Nelle Presidenziali americane i candidati tendono ad occuparsi poco di politica estera e si concentrano sui problemi degli elettori, le loro prospettive economiche e sociali. Ma la strategia della tensione nucleare della Corea del Nord si è intensificata sotto la guida del giovane leader Kim Jong Un, tra test su vettori balistici ed annunci televisivi sul presunto arsenale atomico dei nord coreani.
L’approccio di Donald Trump al problema ha scioccato i Repubblicani e l’establishment politico di Washington: si è detto disposto ad incontrare il leader nord coreano, che lo ha definito “un candidato presidenziale preveggente”. Alludendo poi alla dipendenza politica ed economica dalla Cina, ha aggiunto che ”Pechino può risolvere il problema con una telefonata”. Inoltre, Trump ha suggerito che Giappone e Sud Corea potrebbero sviluppare un arsenale nucleare come deterrente contro i nord coreani: ”Preferirei vedere Nord Corea e Giappone, ciascuno con il proprio arsenale nucleare? Ovviamente si.”
Alcuni degli argomenti spicci e diretti di Trump sulla questione non sono poi così lontani dai punti di vista della Clinton, già Segretario di Stato nell’amministrazione Obama e di gran lunga più esperta in politica estera. Anche lo staff della Clinton ritiene che la Cina debba giocare un ruolo da protagonista nelle pressioni su Kim Jong , spingendosi ad ipotizzare l’uso di “sanzioni secondarie” contro aziende cinesi che operano negli USA per forzare l’intervento cinese. Infatti, senza gli aiuti economici cinesi, la Nord Corea collasserebbe rapidamente.
Perchè questo non succede? I legami tra Cinesi e Pyongyang sono storici e risalgono alla nascita della Corea del Nord nel 1948; Mao Ze Dong definì i rapporti con i coreani “stretti come i denti con le labbra”. Nel 1951, i cinesi entrarono in guerra al fianco del Nord quando gli americani passarono il confine nord coreano dirigendosi verso la Cina. Sin da allora, la Corea del Nord è per i cinesi una zona cuscinetto che tiene gli americani lontano dai suoi confini. Una riunificazione della Corea sotto l’egida americana sarebbe un vero incubo per Pechino.
D’altronde, la belligeranza nucleare di Pyongyang ha avuto come effetto la decisione statunitense d’installare un sistema di difesa antimissile – denominato THAAD – in Corea del Sud, cosa che ovviamente non piace ai cinesi. Inoltre, laddove l’articolo 9 della costituzione giapponese preclude la Guerra per altri fini che non siano autodifesa, Tokyo ha già dato nel recente passato una interpretazione ampia in nome della “sicurezza collettiva del Giappone e dei suoi alleati”; insomma, una escalation nel riarmo in Estremo Oriente è una eventualità possibile che Pechino, già in freddo con i paesi vicini per questioni territoriali nel Mar Cinese, certamente non gradisce.
Quindi, l’atteggiamento belligerante di Kim Jong Un sostiene una situazione di nervosismo latente e contrapposizione tra Cina, Usa e i suoi alleati in Estremo Oriente. Ulteriori pressioni sui cinesi, come quelle ipotizzate nello staff della Clinton, potrebbero avere effetti controproducenti. Non è il momento per un approccio diverso al problema. L’America è concentrata su altro, in attesa del nuovo leader che sarà eletto a novembre. Se sarà Trump, dovrà andare oltre le facili frasi ad effetto su improbabili visite di Stato ed inviti al riarmo in Estremo Oriente. Il punto è come convincere i cinesi che una Corea del Nord pacifica ed integrata nelle relazioni internazionali è un vantaggio per tutti.