In Francia governo e sindacati sono ai ferri corti ormai da mesi per la “Loi du Travaille” del ministro El Khomri. Presentata all’inizio di marzo, la Riforma propone alcune misure di flessibilità sul mercato del lavoro che hanno causato la dura reazione dei sindacati, Cgt in testa: “Il governo deve ritirare il progetto di legge e aprire un vero negoziato a partire dalle nostre proposte per un codice del Lavoro del XXI secolo”.
Gli scioperi a singhiozzo hanno interessato trasporti e servizi pubblici, porti e aeroporti, depositi di carburanti, raffinerie e persino delle centrali nucleari. Il sito ‘cestlagreve’ (c’è sciopero) aggiorna i francesi sulle agitazioni in corso o previste: il calendario di giugno è fitto di scioperi e per il 16 giugno è prevista una grande mobilitazione a Parigi. Metà della popolazione francese si dichiara contraria alla Riforma.
Soddisfatta Sophie Binet, esponente confederale della Cgt: “In quest’ultima settimana, abbiamo contato 300 mila manifestanti in piazza”, commenta. Dal canto suo il Governo non cede: “La Cgt non fa leggi”, ha affermato Valls, “non ci saranno nè modifiche, nè ritiro della proposta di legge” e ha approvato l’utilizzo delle riserve strategiche di carburante in caso di necessità.
L’appuntamento con la Riforma del lavoro sembra – per i francesi – inevitabile, solo una questione di tempo. I problemi della Francia, come per molti paesi europei, risalgono alla fine del 2003. Allora, Francia e Germania si allearono per sostenere il patto di stabilità e mettere al sicuro la solidità del neonato Euro. Ma il tetto del deficit del 3% si rivelò uno scoglio duro, regolarmente superato dai due paesi sino al 2005. È da allora che la situazione tra i due paesi si è divaricata.
Schröder, social democratico, avviò una riforma complessiva del lavoro, l’Agenda 2010, che probabilmente ha pagato con il cancellierato: il periodo di sostegno alla disoccupazione fu abbreviato, i licenziamenti divennero più semplici e furono regolate delle forme di lavoro flessibile; in sostanza la riforma favorì la creazione di posti di lavoro part-time e a minore remunerazione e spinse i cittadini disoccupati verso il lavoro. Dal canto suo, la Francia di Chirac nello stesso periodo superava faticosamente le 35 ore settimanali, varate da Martine Aubry alla fine degli anni ’90.
Il risultato di politiche tanto diverse, unito a rapporti con i sindacati decisamente più moderati in Germania, è impressionante: la disoccupazione in Germania è al 5%, in Francia è il doppio; molti giovani francesi vivono con il sussidio di disoccupazione per anni: il 19% di questi non lavora e non studia, il doppio che in Germania. Nella fascia 55-64 anni di età, il 66% dei tedeschi lavora, in Francia il 47%. Oltretutto, i diritti dei lavoratori francesi sono tali da scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato: l’80% dei nuovi impieghi sono a termine. Insomma la locomotiva tedesca fila, quella transalpina annaspa.
Il Governo di Hollande guidato da Manuel Valls, riformista per vocazione, sembra aver cambiato linea economica in modo radicale rispetto al passato. Infatti, la campagna elettorale del Presidente socialista attaccava ceti agiati e banche e non v’era cenno a riforme del mercato del Lavoro. Ma la mossa è probabilmente necessaria: la Francia continua a non rispettare i patti di stabilità. La crisi economica ha portato tre anni di crescita praticamente nulla e le proiezioni sulla disoccupazione non sono incoraggianti nè quest’anno nè il prossimo. E il 2017 è anno di elezioni.
Tra i favorevoli alle riforme, non mancano critiche sulla reale portata delle misure proposte: sono definite parziali e frammentate anche se vanno nella giusta direzione. Si tratta di numerosi aggiustamenti alle regole del mercato del Lavoro, che includono il superamento di alcune rigidità storiche: estensione dell’orario di lavoro, definizione delle condizioni finanziarie d’impresa per i licenziamenti economici, accordi di fabbrica che possano superare gli accordi di categoria “nell’interesse della conservazione dei posti di lavoro”.
Mancano però le misure di flessibilità contrattuale (contratti flessibili, di breve o lungo termine) che sono il fulcro della riforma tedesca e della recente riforma del governo Renzi: nella sostanza incoraggiare gli imprenditori ad assumere, senza il timore di eccessive rigidità nelle tutele del lavoro. Nel rapporto congiunto di Pisani-Ferry, capo della Programmazione Economica del Governo, e dell’economista tedesco Enderlein, si legge “Le riforme parziali spesso non riescono a dare un quadro sufficientemente chiaro agli agenti economici; la percezione dall’esterno delle priorità della Francia rimane, come minimo, confusa”.
Anche tempi e modalità della presentazione della riforma non sono stati esenti da critiche. Le Figaro, parlando di “fiasco El Khomri” rimarca come Renzi in Italia abbia imposto la sua riforma in un clima di sostanziale pace sociale, laddove in Francia c’è una estesa ribellione in atto. “Il capo del governo italiano ha lanciato il suo Jobs act all’inizio del mandato, al top della popolarità. Tutto il contrario dell’esecutivo francese che si è lanciato nella battaglia al minimo dei sondaggi”, spiega il quotidiano francese, “Renzi ha curato il suo piano di comunicazione. Ha martellato senza tregua con il suo messaggio: il Jobs Act è una necessità per uscire dalla crisi e rilanciare il lavoro e punta prioritariamente agli esclusi del mercato del lavoro, fra i quali i giovani, alle prese con una disoccupazione elevatissima, sono le prime vittime. L’obiettivo della riforma italiana è di spezzare la rigidità del mercato, introdurre flessibilità sui contratti a tempo indeterminato facilitando il licenziamento e al tempo stesso limitare il ricorso ai contratti precari”.
Nel clamore delle proteste, il messaggio del Governo francese è più orientato alla rigidità nella difesa del progetto di “Loi du Travaille”, che a spiegarne i contenuti. Spiegano comunque fonti governative che i contenuti della riforma “consentiranno di raggiungere un buon 60% dei risultati delle riforme tedesche” e che “si creeranno circa 800 mila posti di lavoro”. Percentuali e cifre che, però, non scaldano il cuore dei francesi. E il 16, a Parigi, ci sarà l’ennesima prova di forza sindacale.