Il 5 giugno 2016 non è una giornata di voto solo in Italia. Anche in Svizzera i cittadini erano chiamati alle urne: gli elvetici, infatti, votavano sull’introduzione di un “reddito di cittadinanza” per tutti i cittadini, chiamato “Reddito di base incondizionato” (Rbi).
La risposta, però, è stata chiara: la consultazione referendaria (stando alle prime rilevazioni dopo la chiusura dei seggi alle 12) avrebbe infatti bocciato la proposta con un numero di voti contrari attorno al 70% (serviva la doppia maggioranza, sia dei votanti totali che la maggioranza dei cantoni). Respinte, anche, le iniziative sul servizio pubblico e per l’equo finanziamento dei trasporti.
Il fronte del no al reddito di base vedeva il governo come principale esponente, sostenuto anche da diversi economisti nell’affermare che si tratterebbe di una riforma dispendiosa e ricca di disincentivi (sia sul fronte del lavoro femminile sia sul piano meritocratico).
I promotori parlavano invece di uno strumento necessario per “condurre un’esistenza dignitosa e partecipare alla vita pubblica, anche senza esercitare un’attività lucrativa”. Già in Parlamento, però, la proposta era stata bocciata con 157 voti contrari su 192 e solo i partiti di sinistra hanno apertamente espresso il sostegno al disegno di legge.
La riforma, se approvata, comporterebbe un reddito minimo garantito per tutti i cittadini (i promotori puntano a 2.500 franchi svizzeri – circa 2.250 euro – per gli adulti; 625 franchi per i minorenni), incondizionato e privo di tassazione; un meccanismo che sarebbe andato e a sostituire e rivoluzionare l’attuale sistema di welfare. Chi percepisce, infatti, uno stipendio inferiore alla cifra prevista per legge, avrebbe ricevuto un’integrazione fino al raggiungimento di tale soglia.