Quando Berlusconi era primo ministro e il colonnello Gheddafi aveva saldamente in mano il controllo della Libia, l’Europa sorrise per il modo con cui il Cavaliere (ex) gestiva i rapporti con l’altra sponda del canale di Sicilia; bacio all’anello e lezioni di Corano a villa Pamphili, con codazzo di amazzoni e distribuzione di libretti verdi, saranno ricordati tra gli episodi più pittoreschi della politica estera italiana. L’obiettivo italiano era comunque ben chiaro: fermare il flusso di migranti a Lampedusa.
“Gheddafi – ricordava di recente Berlusconi – oltre a mantenere la pace sul territorio libico garantiva il nostro Paese e l’Europa sul fronte dell’immigrazione di massa dal continente africano che, grazie ai suoi interventi, si era praticamente azzerata. Tutti possono constatare come è andata a finire dopo la scelta sciagurata di far fuori Gheddafi”.
Sembrano anni lontanissimi, la primavera araba ha sconvolto molti paesi arabi; la Libia è oggi una terra divisa e fuori controllo; in Iraq è nato e cresciuto l’Isis, che oggi combatte anche in Siria e Libia; in Siria una guerra civile spietata ha creato milioni di rifugiati.
Si è aperta la rotta dell’Egeo, che ha riversato in meno di un anno oltre un milione di migranti siriani in Europa; quel flusso migratorio è stato la causa della più acuta crisi politica europea di questi ultimi anni: l’apertura ai migranti della Merkel, che voleva mostrare il volto di un’Europa accogliente e lungimirante, è precipitosamente rientrata, seppellita dalle dimensioni epocali del flusso migratorio e dall’impennata di consensi del partito xenofobo AFD (Alternativa per la Germania) .
E così la Merkel ha cambiato tattica e ha dovuto pragmaticamente e rapidamente reinventare i rapporti con la Turchia. Nella sostanza, ha fatto quello che Berlusconi aveva fatto qualche anno prima, andando a rinsaldare le relazioni con Erdogan, altro Rais del Mediterraneo e presidente di uno stato democratico dove però oppositori e minoranze vengono perseguiti e i loro diritti calpestati.
A novembre dello scorso anno la Merkel è andata in visita al Rais ad assicurare l’appoggio tedesco sugli infiniti negoziati per l’ingresso in Europa: un’occasione, per lui, per fare propaganda interna sulla sua autorevolezza sul piano internazionale. La Merkel è tornata ad Ankara ai primi di febbraio, in affanno sulle sue politiche di apertura ai migranti, per discutere con il leader turco la chiusura della rotta dell’Egeo. Ad aprile ha poi incredibilmente autorizzato il processo penale contro il comico Jan Boehmermann per mettere al riparo l’accordo Ue – Turchia sui profughi dall’ira funesta di Erdogan.
Certo, l’approccio della Cancelliera è stato all’altezza del suo carisma e della sua leadership in Europa: ha coinvolto Bruxelles nei negoziati con i Turchi e ha trattato, per convincerli, con alcuni leader europei recalcitranti. Tutto bene, alla fine: l’aiuto alla Turchia – 3 miliardi di Euro – è stato assicurato con fondi dell’Unione Europea; la promessa ai Turchi di agevolarli nell’ingresso in Europa (presa malissimo dai francesi) era a bassissimo rischio, perché con Erdogan non ci saranno mai le condizioni politiche minime; e anche l’ingresso dei turchi in Europa senza visto, che sembrava cosa fatta ad inizio maggio, si è raffreddato recentemente. E, ciò che conta più di tutto, il flusso migratorio attraverso l’Egeo si è arrestato.
Ma l’abbraccio con Erdogan non è facile da sciogliere; è notizia recentissima la telefonata preoccupata di Erdogan alla vigilia del voto del Bundestag su una risoluzione che riconosce il genocidio degli armeni. Un tema scottante per il leader turco, che ha invitato la Cancelliera ad usare “buon senso”. Un bel dilemma per la Cancelliera, che non si può permettere un altro scivolone dopo il caso Boehmermann.