Continua a preoccupare il livello di occupazione in Italia. I dati della Cgia di Mestre, in parziale controtendenza con quanto diffuso ieri dall’Istat, dipingono una situazione tutt’altro che confortante: tra i 28 paesi dell’Unione Europea, soltanto Croazia e Grecia presentano un tasso occupazionale più basso di quello italiano, che si attesta al 56,3%.
In Italia i lavoratori dipendenti più gli autonomi sono circa 22 milioni e 500 mila ed è proprio nel meridione che la situazione preoccupa, dove il tasso di occupazione non supera quello della Grecia. La Sardegna, per esempio, fa registrare 0,7 punti percentuali in meno rispetto al dato medio di Atene, il Molise 1,4, la Basilicata 1,6, la Puglia 7,5, la Sicilia 10,8, la Campania 11,2 e la Calabria 11,9.
I posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi economica sono 625.600. E poco incide il fatto che tra il 2014 e il 2015 se ne siano recuperati 186.500. Al netto di disoccupati, scoraggiati e inattivi emerge che in Italia la platea degli occupati registra un gap di 17,7 punti percentuali con la Germania, di 16,4 punti con il Regno Unito e di 7,9 punti con la Francia.
“Quando analizziamo i dati riferiti al mercato del lavoro – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – l’attenzione è quasi sempre rivolta all’andamento del tasso di disoccupazione. In realtà il tasso di occupazione è più importante, perché lega questo indice a doppio filo con il livello di produzione di ricchezza di un’area”.
Zabeo spiega che, in altre parole, “tra il numero di occupati e la ricchezza prodotta in un determinato territorio c’è un rapporto diretto. Al crescere dell’uno, aumenta anche l’altra”. Va anche peggio se si confrontano il tasso di occupazione medio femminile e giovanile dell’Ue con il nostro Paese: il differenziale è di 13,2 punti (pari in Italia al 47,2 per cento), mentre in quello giovanile (attestatosi nel 2015 al 15,6 per cento), è di 17,5 punti percentuali.