Il premier Matteo Renzi l’ha definita una riforma costituzionale “storica”, le opposizioni invece non credono nella sua portata riformatrice: il ddl Boschi, a poche ore dalla sua approvazione definitiva alla Camera, continua a dividere.
Ma come cambierà la distribuzione del potere con le nuove riforme? Gli obiettivi principali, innanzitutto, sono due: superare il bicameralismo perfetto e rafforzare l’esecutivo. Le Camere rimarranno sempre due, ma con funzioni e composizioni differenti.
Montecitorio darà la fiducia al governo e voterà le leggi, sarà insomma l’organo titolare del potere legislativo. Palazzo Madama, invece, farà da raccordo tra lo Stato, gli enti territoriali e l’Unione europea. Ci saranno meno senatori, eletti dai Consigli Regionali e indicati dai cittadini.
Previste inoltre nessuna indennità per i senatori, meno poltrone, da 315 a 100. Il Senato sarà composto 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. I senatori resteranno in carica per tutta la durata delle istituzioni territoriali dove sono stati eletti.
Palazzo Madama ha quindi acquistato un potere “consultivo”, ovvero di controllo e di verifica dell’attuazione delle norme, delle politiche pubbliche, dell’attività delle pubbliche amministrazioni e delle nomine spettanti al Governo.
Ma ci sono alcuni casi nei quali si verrà a ricostituire il bicameralismo perfetto: leggi costituzionali, tutela delle minoranze linguistiche, referendum popolari, normativa di Comuni e città metropolitane ed europea. Inoltre il Senato eleggerà due dei quindici giudici della Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica.
Capitolo Colle. Nel nuovo assetto, scompaiono i delegati regionali (sostituiti dai senatori) e cambia il quorum: dalla settima votazione basteranno i tre quinti dei votanti per scegliere il nuovo Presidente della Repubblica. Il governo avrebbe preferito la maggioranza assoluta dopo l’ottavo scrutinio.
A livello di poteri decentrati, il ddl Boschi elimina le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, disciplinate dall’articolo 117 della Costituzione, e attribuisce al primo la legislazione esclusiva in ambiti come politica estera, immigrazione, difesa, ordine pubblico, infrastrutture, tutela dell’ambiente e dell’istruzione.
Verrà incentivato il cosiddetto “federalismo differenziato”, che distingue tra Regioni virtuose e non. Solo alle prime lo Stato potrà decidere di “devolvere” ulteriori poteri, comprese le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e il commercio con l’estero”.
Rottamazioni eccellenti. Sarà abolito il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: l’articolo 99 della Costituzione verrà quindi spazzato via dall’articolo 27 della riforma. Entro trenta giorni dall’approvazione della legge, un commissario straordinario avrà il compito di liquidare e ricollocare il personale.
Addio alle Province, cadranno sotto la scure della riforma del Titolo V. E quanto al Referendum, entra in vigore quello “propositivo”. Per presentare un quesito referendario serviranno sempre 500mila firme, ma il quorum può essere ridimensionato se i comitati ne raccoglieranno 300mila in più. Saranno necessarie 150mila firme per presentare una legge di iniziativa popolare: il triplo rispetto alla soglia attuale.