L’intervista di Salvo Riina, figlio del “capo dei capi” della mafia corleonese Totò, alla fine è stata trasmessa dalla Rai, nel corso della trasmissione ‘Porta a Porta’. La Commissione parlamentare Antimafia ha convocato per oggi alle 16 i vertici Rai, ovvero la presidente della Rai Monica Maggioni e il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto, per una audizione urgente sulla vicenda dell’intervista al figlio di Totò Riina.
“Io ho rispetto sempre per i morti, tutti”. È la risposta ad una domanda di Bruno Vespa sulla morte dei giudici Falcone e Borsellino, aggiungendo di non voler dire troppo sui magistrati uccisi, perché le sue parole potrebbero essere strumentalizzate.
“Un figlio può giudicare suo padre, ma se lo deve tenere per sé, non può andare in giro a dirlo in pubblico”, afferma ancora Salvo Riina presentando il suo libro, di cui precisa: “Molti penseranno che è un libro reticente” ma “i rimproveri non toccano a me”.
Riina si sofferma poi sul “sistema pentiti”. “Solo in Italia succede ciò. In tanti altri Paesi democratici non succede che un pentito che dice di aver commesso centinaia di omicidi non fa neanche un giorno di carcere. Poi accusano le persone, le mandano in carcere poi tornano a fare quello che facevano prima. Si poteva scegliere di fa scontare un minimo delle cose che avevano fatto”.
“La mafia cos’è? Non me lo sono mai chiesto, non so cosa sia – dichiara -. Oggi la mafia può essere tutto e nulla. Omicidi e traffico di droga non sono soltanto della mafia”.
Ad un certo punto Vespa gli chiede se si è mai domandato perché non andasse a scuola. “Per noi non era normale – dice Salvo Riina – ma non ci siamo mai chiesti perché non ce le facevano queste domande, eravamo una sorta di famiglia diversa, abbiamo sempre vissuto un po’ questa vita diversa dagli altri. L’arresto mio padre è stato uno spartito”.
“C’era – prosegue – una sorta di tacito accordo familiare, noi eravamo bambini particolari, il nostro contesto era diverso, abbiamo vissuto anche in maniera piacevole, nella sua complessità è stato come dire un gioco”.
“Noi solitamente uscivamo con la nostra compagnia e sentimmo un sacco di ambulanze, spesso se ne sentivano, ma questa volta c’era un viavai di ambulanze e auto della polizia che andavano verso Capaci. Ci dissero che avevano ucciso Giovanni Falcone. Restammo tutti ammutoliti, poi tornammo a casa e c’era mio padre che guardava il tg. Non mi venne mai il sospetto che mio padre era dietro gli attentati”. Le parole di Salvo Riina ricordando i momenti successivi alla strage di Capaci, del 23 maggio 1992.
“Amo mio padre non sta a me giudicare. Amo mio padre, amo la mia famiglia, al di fuori di tutto quello ci hanno contestato, io non giudico, per quello c’è lo Stato, ci sono i giudici; la mia famiglia, mio padre mi hanno insegnato tante cose, il rispetto della famiglia, dei valori, della tradizione, la persona che sono la devo a loro”, continua Riina jr, ripetendo: “Io non devo dire se mio padre ha sbagliato, per questo c’è lo Stato non tocca a me dirlo”.
“Salvatore Riina – conclude – è mio padre, Totò Riina è un acronimo identificato dai giornalisti”.