Le salme di Fausto Piano e Salvatore Failla, i due italiani uccisi in Libia, rientreranno al massimo “entro martedì”. Lo ha assicurato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, spiegando che il governo sta lavorando “incessantemente” per rimpatriare i corpi dei due ostaggi.
Intanto amici, parenti e vicini di casa hanno accolto Gino Pollicardo, uno dei due tecnici della Bonatti rientrati dalla Libia nelle scorse ore dopo una lunga prigionia. A Monterosso, Cinque Terre, Pollicardo era accompagnato dalla famiglia: “Penso ai miei due colleghi che non ci sono più”, ha detto.
”Un momento difficile è stato l’inizio perché, intanto non ci credevamo. Pensavamo di vivere un incubo. Non ti rendi conto di quello che sta succedendo. Poi pian pianino abbiamo cercato di tenerci tutti con la mente chiara, ricordando i giorni, cercando di non sbagliare data. E ci siamo riusciti, tranne che per il 29 febbraio: non ricordavamo l’anno bisestile”.
In merito alla separazione dagli altri due sfortunati colleghi: ”Loro sono entrati dicendoci che era tutto finito. Nei giorni precedenti ci avevano dato una tuta da mettere quando andavamo via. Ci hanno fatto vestire dicendo che tutto era finito e poi hanno preso Salvatore e Fausto e a noi ci hanno lasciati là dentro. Ci siamo chiesti come mai e la spiegazione che ci siamo dati era che forse non avevano posto. Mi è sembrata una scelta casuale”.
E poi il racconto di come sono riusciti a fuggire: “Ho lavorato molto su quella porta. Ho capito che con un chiodo si possono fare tante cose. Ho lavorato sulla serratura, o meglio sulla parte dove la serratura si va ad incastrare nella porta. Era un legno duro però pian pianino, con la caparbietà, ho indebolito la parte. Poi ho chiamato Gino, perché mi facevano male le dita da giorni e gli ho detto: ‘dai Gino vieni, se dai due colpi siamo fuori”.
“Il giorno prima avevamo provato e gli avevo detto ‘Gino, mi dispiace, noi riusciamo a farlo’. Invece poi. Quando si è aperta la porta l’altro dubbio era di trovare chiusa dall’esterno la porta che dava fuori, invece era aperta e fuori non c’era più nessuno”.
“Ci siamo camuffati perchè avevamo paura che ci fosse qualche altro gruppo fuori ci prendesse. Siamo andati sulla strada con l’intenzione di chiedere aiuto, però’ cercavamo la polizia perché era l’unica che potesse darci aiuto. E fortunatamente il buon Dio ci ha messo sulla strada giusta. Abbiamo trovato i poliziotti e poi da li’ e’ stato tutto un crescendo. Io dopo circa un’ora sono tornato indietro con loro per riconoscere la casa”.