Gli italiani hanno una lunga tradizione di emigrazione: si stima in 24 milioni il numero complessivo di italiani che hanno lasciato il nostro paese nel primo secolo di vita dell’Italia unita. Tra l’unità d’Italia e la Prima Guerra mondiale circa dieci milioni varcarono l’oceano per il nuovo continente, nella cosiddetta ‘grande migrazione’, stabilendo numerose e solide minoranze negli Stati Uniti e in molti paesi dell’America Latina. Si tratta di circa metà della popolazione italiana censita dopo la riunificazione del paese!
Negli anni cinquanta e sessanta della ricostruzione post bellica e della ripartenza economica, altre centinaia di migliaia scelsero le fabbriche tedesche o le miniere belghe per migliorare le loro condizioni di vita; questa seconda ondata migratoria, perlopiù circoscritta all’Europa, vide anche flussi diretti a mete più lontane, quali l’Australia ed il Venezuela.
Dagli anni settanta la situazione cambia. Dopo gli anni del boom, l’Italia è un paese ricco ed industrializzato; l’emigrazione di italiani all’estero si riduce a un rivolo, mentre il nostro paese diventa una meta per i poveri del terzo mondo. Il primo saldo positivo tra immigrati ed emigrati risale al 1973, e da allora il numero degli immigrati è continuato a salire, nutrito dai flussi da Africa, Asia e paesi dell’ex blocco sovietico. Oggi, gli immigrati in Italia sono quasi 6 milioni, inclusi circa 6oo mila che hanno acquisito la cittadinanza.
Con la crisi economica del 2008 la situazione cambia ancora; se continuano i consistenti flussi migratori, alimentati dai drammatici eventi della Primavera araba, ecco però che la pesante recessione del nostro paese spinge molti cittadini italiani a partire alla ricerca di opportunità di lavoro all’estero. I dati statistici raccontano di mezzo milione di partenze dal 2008 al 2013; l’Istat ha stimato in oltre 100.000 le partenze nel solo 2015. Si tratta soprattutto di ventenni e trentenni laureati: se ne vanno i nati negli anni ottanta. D’altro canto i numeri dell’economia italiana sbarrano la strada a tanti giovani che vogliono costruirsi un futuro: dal 2008 al 2015 sono stati persi 1 milione e mezzo di posti di lavoro tra gli under 35 e l’attuale tasso di disoccupazione giovanile in Italia è del 35%.
I nostri giornali riportano spesso storie di fuga di cervelli, con ricercatori e dottorandi ultra specializzati che vanno a lavorare nelle migliori università all’estero. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: l’emigrazione è fatta di un esercito di tanti laureati e diplomati che spesso vanno via per fare i muratori, i baristi o i lavapiatti.
Ecco alcune storie.
M. ha trentun anni ed è perito grafico. Viene dal ricco varesotto, falcidiato dalle delocalizzazioni industriali. Va a Berlino nel 2011; lavora come grafico alle dipendenze di un giovane turco, ma dopo mesi di lavori non pagati lascia e va a servire ai tavoli in un ristorante: 1500 euro al mese, assicurazione medica, e tanta voglia di un lavoro migliore. Riprova nella grafica in una start-up che vende abbigliamento d’alta moda nel web; un ambiente di lavoro dinamico e interessante con tanti giovani come lui; ma dopo qualche mese il finanziatore decide d’improvviso di tirarsi indietro e l’azienda fallisce. M. dopo qualche mese di sussidi di disoccupazione, trova lavoro in una tipografia. Anche qui non viene pagato con regolarità e dopo un paio di mesi se ne va. Oggi è un cameriere in un ristorante; non è la massima realizzazione delle sue aspirazioni, ma per lui è certamente meglio che tornare in Italia a carico della famiglia.
V., 34 anni, è della stessa zona. Anche lei a Berlino da qualche anno. Laurea in scienze politiche, attualmente fa la barista per 500 euro al mese, con un ”contratto mini-job”. Anche per lei la vita non è facile in Germania; vive in una stanza di un appartamento condiviso, il settimo che abita da quando è arrivata. Malgrado le ristrettezze economiche, è contenta della vita a Berlino, città che trova poco cara, affascinante e piena di giovani.
I tre fratelli Z., 33 anni, L. ,34 e R., 27 vengono dalla zona di Lecce e vivono a Bellinzona nella Svizzera italiana. R. è il primo ad andar via nel 2007; fa il manovale, lavoro duro ma con un buon stipendio sicuro a fine mese. Z. ed L. lo hanno raggiunto qualche anno dopo; Z., una laurea in scienze motorie, fa il barista e studia per l’abilitazione all’educazione fisica in Svizzera. L., sposata con due figli piccoli, ha trovato un lavoro come perito chimico.
Sono tutte storie di sacrifici e di qualche soddisfazione faticosamente raggiunta: storie come quelle degli emigranti di ogni tempo.