Il 3 febbraio gli stati membri dell’Unione Europea hanno trovato l’accordo per sbloccare il fondo da 3 miliardi di euro per l’aiuto ai profughi siriani in Turchia. Il piano d’aiuti era già stato approvato a novembre ma la prolungata opposizione italiana ha ritardato fino a febbraio il via libera finale. Sintetizza Johannes Hahn, commissario UE alla politica di vicinato e all’allargamento: “Oggi la Turchia ospita una delle più grandi comunità di rifugiati nel mondo; si è inoltre impegnata a ridurre l’afflusso di questi rifugiati verso i paesi dell’Unione Europea”.
Un miliardo sarà messo sul piatto da Bruxelles mentre gli Stati membri contribuiranno per i restanti 2 miliardi. La quota italiana è di 225 milioni di euro, la quarta per consistenza dopo quelle tedesca, britannica e francese. Questi soldi serviranno a fornire servizi sanitari, educazione e cibo ai profughi siriani ospiti dei campi turchi, per spingerli a non tentare il rischioso viaggio verso l’Europa. Si tratta di un problema sempre più fuori controllo, con oltre 60.000 persone arrivate sulle coste greche nel solo mese di gennaio.
Frattanto in questi mesi si è riparlato di adesione della Turchia all’Unione Europea dopo anni di stasi. Proprio la cancelliera Merkel, il cui partito, la Cdu, è sempre stato ostile ad un eventuale ingresso turco nell’Unione, ha dichiarato durante una visita di Stato a Istanbul nell’ottobre 2015: “La Germania è pronta a nuove discussioni con Ankara su una piena adesione turca all’Unione Europea, anche se non posso dare date certe”. In Europa si sta prendendo coscienza dell’importanza strategica del paese di Erdogan e della necessità di coinvolgere Ankara nella gestione del problema dei flussi di migranti dalle aree di crisi. Dunque c’è una rinnovata apertura europea nei confronti dei turchi, anche se questi ultimi non hanno fatto grandi progressi nel soddisfacimento degli standard europei in materia di diritti e libertà individuali (si pensi alla reazione di Erdogan alle proteste di Gezi Park nel 2013 o al fatto che decine di giornalisti turchi si trovino in carcere per aver criticato il governo).
Da quando sono stati avviati nel 2005, i negoziati di adesione della Turchia all’Unione hanno attraversato innumerevoli fasi e battute di arresto. Molti sono comunque gli ostacoli a un eventuale ingresso turco. Due i principali: l’aperta ostilità delle opinioni pubbliche di alcuni stati membri, soprattutto Francia e Germania e l’irrisolta questione cipriota. Col tempo queste difficoltà hanno alimentato una crescente esasperazione turca nei confronti dell’Europa.
L’Unione Europea è stata accusata spesso dai media turchi di seguire una politica del doppio standard nei confronti del loro paese e in ambienti dell’establishment turco si è parlato della Shangai Cooperation Organization come possibile alternativa a Bruxelles. Nonostante tutto, l’adesione all’Unione Europea resta uno dei principali obiettivi della politica estera turca, anche perché il deteriorarsi del contesto mediorientale negli ultimi anni ha messo a repentaglio le relazioni di Ankara con molti vicini.
Il premier ed ex ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu coniò alcuni anni fa la frase “Zero problemi con i vicini” per descrivere la politica estera turca ma la realtà attuale appare quella di un paese sempre più destabilizzato dalle guerre civili siriana ed irachena e con rapporti tesi con altri vicini come l’Iran e la Grecia. Comunque le necessità della lotta al terrorismo di matrice jihadista e l’emergenza migranti inducono gli europei ad avvicinarsi alla Turchia e a fare promesse come la libera circolazione dei cittadini turchi in Europa.
Nel frattempo la relazione economica fra Turchia e UE è fiorente: l’Europa è di gran lunga il primo partner commerciale della Turchia e fin dal 1995 i turchi sono in un’unione doganale con gli europei. E’ difficile prevedere però se questo paese riuscirà mai a diventare membro dell’UE. Sono troppe le variabili in gioco: dal crescente autoritarismo di Erdogan al problema del rispetto delle minoranze etniche come i curdi e religiose come i cristiani, fino alla questione della divisione di Cipro. Infine tra gli europei in molti non dimenticano il fatto che la Turchia è un grande paese di 80 milioni di abitanti, che potrebbe spostare gli equilibri di potere nell’Unione, e che si tratta di un paese a stragrande maggioranza musulmana, tradizionale antagonista militare e ideologico-religioso dell’Europa cristiana.