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Tumore al fegato, arriva un nuovo studio basato su una terapia genetica

Uno studio condotto dai ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo Ospedaliero San Donato, ha identificato un innovativo approccio terapeutico basato su una tecnica di terapia genica, in grado di contrastare efficacemente le metastasi al fegato causate dai tumori del colon-retto in modelli sperimentali.

La ricerca, coordinata dal dottor Giovanni Sitia, responsabile dell’Unità di Epatologia Sperimentale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e appena pubblicata sulla prestigiosa rivista EMBO Molecular Medicine, dimostra come i macrofagi, cellule del sangue normalmente richiamate nel tumore, possano essere convertiti in veicoli di geni anti-tumorali per combattere le metastasi al fegato da tumori colon-rettali.

In questo lavoro, realizzato in collaborazione con il professor Luca Guidotti, vice direttore scientifico e capo dell’Unità di Immunopatologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e con il professor Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica – TIGET, è stata utilizzata una tecnica di trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue per il trattamento dei tumori. Questo approccio, descritto qualche anno fa dal gruppo del professor Naldini, consiste nell’utilizzo di vettori lentivirali in grado di inserire nelle cellule staminali ematopoietiche (cellule madri di tutti gli elementi del sangue) un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie.

Il gene terapeutico, scelto per bloccare la crescita del tumore, è l’interferone alfa, una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo in risposta a infezioni ma per la quale è stata dimostrata anche una potente attività anti-tumorale. L’uso clinico dell’interferone è però stato finora limitato da una elevata tossicità, se somministrato per via sistemica.

Per rendere la terapia selettiva contro le cellule tumorali, il vettore lentivirale è stato disegnato in modo da assicurare che il gene anti-tumorale si attivi solamente in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, i monociti/macrofagi (figli delle staminali), normalmente presenti nel sangue in bassa frequenza, ma richiamati dal circolo sanguigno in grande numero quando si scatena il tumore. I macrofagi ingegnerizzati, richiamati nei pressi delle metastasi, producono interferone che, accumulandosi nel fegato e in particolare nelle zone cancerose, può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull’organismo.

“Una volta nel fegato, l’interferone agisce sul microambiente epatico, riducendo precocemente la crescita e la colonizzazione metastatica e in seguito favorendo la risposta immunitaria contro le metastasi da colon-retto”, continua Giovanni Sitia:“Abbiamo inoltre verificato che l’ingegnerizzazione dei macrofagi e la conseguente produzione specifica di interferone, è in grado di conferire protezione a lungo termine in modelli preclinici murini, senza causare apparenti effetti collaterali o incapacità a rispondere adeguatamente a infezioni virali sistemiche”.

Inoltre gli studi hanno identificato in una casistica di pazienti affetti da metastasi epatiche da tumori del colon-retto un simile accumulo selettivo di monociti/macrofagi in corrispondenza alle metastasi stesse, suggerendo che i pazienti affetti da questa patologia, spesso associata a elevata mortalità, potranno in futuro beneficiare di un simile e innovativo approccio anti-tumorale, in grado di potenziare le attuali terapie.

Spiega ancora il ricercatore: “I nostri risultati forniscono una prova incoraggiante dell’efficacia e sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. È ora necessario effettuare ulteriori studi preclinici volti a valutare quali pazienti con metastasi epatiche da tumori del colon-retto possano meglio beneficiare di questa terapia genica e preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno”.

Primo autore dello studio è Mario Catarinella, finanziato grazie ad una borsa di studio post-dottorato “The San Raffaele International Postdoctoral Programme” dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Lo studio condotto presso l’Unità di Epatologia Sperimentale dell’IRCCS San Raffaele è stato principalmente possibile grazie a finanziamenti del Ministero della Salute.

La tecnologia alla base dello studio è stata conferita in licenza alla start-up biotecnologica Genenta Sciences fondata da Ospedale San Raffaelle, Pierluigi Paracchi, Luigi Naldini e Bernhard Gentner.

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